EDITORIALE L'ARCO DI GIANO n° 75 - 2013

           
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  Comunicazione in medicina

tra etica e diritto

N° 75 - primavera 2013


 

Sono molti i modi in cui l'attività comunicativa interagisce con la cura medica. Si va dal rapporto personale tra medico e paziente, le cui valenze terapeutiche sono state sempre più chiaramente messe in luce nella letteratura recente e nella pratica, alle forme in cui, nel dibattito pubblico, le problematiche biomediche sono state affrontate e discusse da esperti, uomini politici, addetti ai lavori. Si va dalle modalità in cui l'istituzione sanitaria si rivolge ai potenziali pazienti e alle persone che sono loro vicine, nelle forme che sono proprie di una comunicazione pubblica propriamente intesa, alle maniere in cui le notizie e le informazioni che concernono la nostra salute vengono veicolate, in special modo dai mass media.

Si tratta, certo, di problematiche differenti fra loro, seppure strettamente apparentate. Un conto infatti è la capacità di gestire una relazione comunicativa nel quadro più complessivo dell'attuazione di un'alleanza terapeutica; un conto invece è la necessità di affrontare le questioni riguardanti la nostra salute in maniera rispettosa sia dello stato dell'arte che delle necessità del malato, senza trasformarle in pretesto per l'ennesimo scontro ideologico. Un conto, poi, è la funzione che l'attività comunicativa svolge ai fini di una migliore organizzazione dell'istituzione sanitaria, favorendo, per il tramite di un'efficace comunicazione interna, la cooperazione fra gli operatori e, in virtù di una trasparente comunicazione esterna, un sempre migliore esercizio del diritto alla salute da parte dei cittadini; un conto, infine, è l'esigenza di un'informazione competente e corretta, soprattutto riguardo ai progressi della medicina, in modo da non ingenerare, per esempio, speranze illusorie attraverso falsi scoop.

In tutti questi casi comunque, ciascuno considerato nella sua specificità e nelle particolari competenze che richiede per la propria gestione, vale il principio condiviso da ogni attività comunicativa per il quale non è possibile che venga comunicato tutto, senza rispetto per i limiti e le conseguenze. Vi sono infatti norme che stabiliscono ciò che può e ciò che non può essere detto. Vi sono regole che individuano in che modo ciò che viene detto dev'essere propriamente detto. Vi è la possibilità, ancora, di stabilire specifici criteri a partire da cui una comunicazione può essere considerata più o meno buona.

In una parola: non solo non si può comunicare tutto, ma anche ciò che può essere comunicato è comunicato bene oppure male. La stessa attività comunicativa, come ogni attività umana, è suscettibile infatti di essere sottoposta a un giudizio di valutazione. E questo giudizio è formulato a partire dall'assunzione e dalla giustificazione di quegli specifici criteri che sono capaci di orientarlo.

A occuparsi di stabilire questi criteri e di definirne l'applicazione ai vari ambiti dell'attività umana sono due discipline, distinte ma complementari: il diritto e l'etica. Il diritto fornisce regole certe, individua cioè specifiche norme, sulla cui base viene organizzata la convivenza umana. Di più. Il diritto stabilisce anche le modalità in base a cui viene sanzionata la trasgressione di queste norme. In tal modo esso si presenta come un sistema di regolamentazione delle azioni compiute pubblicamente nell'ambito di un contesto normativo anch'esso pubblicamente riconosciuto e organizzato.

L'etica, dal canto suo, individua anch'essa specifici criteri e principî che possono guidare l'agire umano. Si tratta però di criteri e principî in base ai quali un tale agire può essere definito "buono" oppure "cattivo", piuttosto che "giusto" oppure "ingiusto". Il che significa che essi riguardano non solo le azioni compiute pubblicamente – e fra queste anche le azioni che, pur non regolamentate dal sistema giuridico, possono comunque essere giudicate buone o meno –, ma anche le intenzioni che animano l'agire. Si tratta di un ambito, appartenente alla sfera delle motivazioni individuali, che può a sua volta essere oggetto di valutazione. L'etica, dunque, di fronte alle regole che, pure, possono essere stabilite, non solo si preoccupa della loro legittimazione, ma fornisce, anche e soprattutto, le motivazioni per cui applicarle.

Insomma: di regole certe per la convivenza umana abbiamo certamente bisogno. Così come di criteri chiaramente stabiliti per definire un comportamento pubblico che risulti giusto e corretto. Ma abbiamo bisogno, in più, anche di giudicare, sempre sulla base di principi universalmente condivisi, le nostre azioni, e le stesse intenzioni che le muovono, come buone oppure no. E soprattutto è necessario – cosa di cui specificamente si occupa l'etica – stabilire in che modo e per quali motivazioni determinate regole vengono applicate anche in assenza di controllo, anche quando cioè la non applicazione di esse non risulta, propriamente, qualcosa d'ingiusto.

Ecco dunque la diversità di approccio che contraddistingue l'ambito del diritto da quello dell'etica. Ma ecco, insieme, anche il motivo della loro complementarità. Anzi: la necessità, per entrambe, di collaborare reciprocamente.
Tutto ciò emerge chiaramente proprio quando è l'agire comunicativo l'ambito che viene preso in considerazione da un punto di vista sia giuridico che etico. Da tempo infatti sono state elaborate, riguardo alle varie forme di comunicazione, riflessioni che attengono tanto all'aspetto specificamente deontologico, quanto alla sfera propriamente etica. In particolare, poi, ciò risulta significativo e urgente, come ho accennato all'inizio, nel variegato contesto della comunicazione in medicina. Ed è appunto su alcuni aspetti di questa problematica che si concentrano i contributi pubblicati in questo fascicolo de "L'Arco di Giano".

Esso infatti raccoglie sia saggi che affrontano il tema della comunicazione biomedica a partire dall’esperienza del terapeuta e della motivazione etica che lo anima, sia testi che approfondiscono da un punto di vista giuridico alcuni aspetti della questione. Riguardo a quest’ultimo aspetto, in special modo, il contributo di Pietro Rescigno offre un’utile panoramica dei problemi che in materia debbono essere affrontati. Lo scritto di Luciano Eusebi, invece, si concentra sul nesso tra autodeterminazione e affidamento nella relazione di cura, mostrando come le soluzioni di tipo contrattualistico, per gestire situazioni-limite, possono risultare non solo scorrette, ma addirittura pericolose.

Il tema del consenso informato è invece al centro dei saggi di Paola Binetti e Claudio Pensieri, e di Lucio Romano. Essi approfondiscono con grande finezza le varie sfaccettature di questa prassi comunicativa, la competenza che essa richiede per la sua gestione, la rideterminazione del rapporto medico-paziente che comporta. Ma soprattutto mettono in guardia da un uso del consenso informato nell’ottica di una concezione puramente difensiva della medicina: ciò che ne snaturerebbe il significato, trasformandolo semplicemente nell’esito di un processo di negoziazione.

Che il paziente non possa più, oggi, essere considerato semplicemente tale, ma si qualifichi, nell’ottica di una medicina incentrata sulla persona, come un vero e proprio soggetto “esigente”, è detto a chiare lettere nel saggio di Ivan Cavicchi. In esso vengono presentati schematicamente gli elementi di novità che caratterizzano l’odierna pratica medica e sono delineati i modi che permettono di gestirli in maniera adeguata: primi fra tutti, appunto, quelli connessi all’attività comunicativa.

Conclude il gruppo dei contributi lo scritto di Manuela Vinai che, molto opportunamente, analizza in che modo nei mass media vengono affrontate le problematiche bioetiche e biomediche. Con il riferimento a specifici casi di studio, anche recenti, viene mostrato l’uso spesso ideologico che viene fatto della comunicazione in questi casi. Ciò fa nascere l’esigenza di una rinnovata assunzione di responsabilità da parte degli operatori del settore.

Pur non esaurendo tutti gli aspetti relativi al tema della comunicazione in medicina, comunque, il presente fascicolo de “L’Arco di Giano” pone in definitiva un problema di fondo e, insieme, un’esigenza a cui dare riposta. Il problema è dato dalle conseguenze dovute a un uso non corretto e non buono – vale a dire: non responsabile – della comunicazione anche in quest’ambito. L’esigenza è di giungere quanto prima a forme di regolamentazione che non siano affatto di tipo contrattualistico, ma risultino davvero animate dal desiderio di fare il bene. Ben sapendo che, come avviene in ogni tipo di relazione, fare il bene degli altri significa anche fare il proprio bene: e dunque, in tal modo, perseguire il bene di tutti.

 

di Adriano Fabris

 

 

 

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