EDITORIALE L'ARCO DI GIANO n° 69 - 2011

           
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Politica e Sanità


N° 69 autunno 2011


 

L’attuale Dossier affronta in modo critico e costruttivo il rapporto tra Politica e Sanità. Gli autori non hanno voluto sottrarsi a nessuno degli interrogativi che la tutela della salute pone oggi al mondo della politica, soprattutto in tempi di crisi. Molti degli autori sono al tempo stesso medici e politici, per cui integrano competenze cliniche ed esperienza politica, maturata in partiti diversi e con ruoli diversi: Tomassini, Di Virgilio e Calabrò nel PdL, Binetti, Calgaro e Gustavino nell’UdC, Garavaglia nel Pd. Alcuni di loro sono o sono stati Ministri, come Fazio e Garavaglia, tutti hanno firmato molti disegni di legge in campo sanitario e sono impegnati nei processi di riforma del Sistema sanitario nazionale, al di fuori di un approccio ideologico o demagogico. Accanto a loro Docenti universitari come Eugenio Gaudio, Walter Ricciardi e Giovanna Vicarelli, Direttori generali come Bollero e Taroni, Presidenti dell’Ordine dei Medici, come Falconi. Un mix di esperti che ha lavorato insieme volentieri per confezionare questo Dossier e cercare di fare chiarezza sui rapporti tra Politica e Sanità.
La crisi economica che stiamo vivendo affonda le sue radici nella urgente necessità di riforme, soprattutto sotto il profilo dei modelli organizzativi e gestionali, ma riflette anche forti implicazioni sotto il profilo etico. In un momento in cui le risorse sembrano ridursi in modo preoccupante, -a livello nazionale ed internazionale- la politica impone alla sanità dei tagli che nella percezione soggettiva dei cittadini creano un’ansia diffusa, che aumenta il disagio delle persone più deboli e più fragili. Ogni taglio annunciato, e spesso amplificato dai mezzi di comunicazione, è vissuto dai cittadini come un fattore di rischio per la propria salute. La politica dei tagli in sanità sembra intaccare il diritto alla salute di tutti.
Ma i tagli proposti, che attualmente sembrano indispensabili, presuppongono una lotta decisa agli sprechi, ai conflitti di interesse, alla cattiva amministrazione. Dovrebbero essere tagli alla parte malata del sistema e dovrebbero contribuire a liberare risorse proprio per la tutela della salute dei pazienti.
I costi sani della sanità sono infatti legati alla diagnostica che esige tecnologie sempre più sofisticate, alla ricerca di farmaci sempre più personalizzati, alla continuità delle cure e alla necessità di affiancarle ad una riabilitazione più o meno lunga. I costi della sanità infatti sono sempre più interdipendenti con il tempo della malattia, come confermano le patologie croniche ed invalidanti e questo pone nuovi problemi in fatto di prevenzione e di riabilitazione, che possono aiutare a contenere i costi e a ottimizzare le risorse.
Attualmente la situazione politica-economica presenta dei contorni troppo fluidi per dare quei segni di speranza e di ottimismo che tutti vorremmo, soprattutto quando si parla della nostra salute e della salute del Paese. La sostenibilità del sistema sanitario nazionale è a rischio, non solo perché diminuiscono le risorse, ma anche perché c’è una continua crescita della domanda.
La responsabilità della politica si fonda anche sulla capacità di programmare il futuro del sistema sanitario sulla base del cambiamento della domanda e della pluralità dei fattori che la generano.
L’aumento dell’età media, ad esempio, comporta un naturale accentuarsi delle patologie croniche e della disabilità grave, che implicano una diversa modalità di assistenza, orientata più in senso territoriale che in chiave ospedalo-centrica. È urgente sperimentare nuovi modelli assistenziali in cui il bilanciamento tra le esigenze dell’assistenza ospedaliera e quella domiciliare raggiunga un nuovo punto di equilibrio, mantenendo come punto di riferimento la centralità del paziente.
L’economia nazionale, vissuta attraverso l’interfaccia dei servizi socio-sanitari offerti ai cittadini, mostra di giorno in giorno la fatica di soddisfare i reali bisogni di assistenza delle persone con gli attuali modelli assistenziali. Sembra che mentre la clinica e l’assistenza sociosanitaria cercano di inglobare velocemente i progressi della scienza e della tecnica, i modelli organizzativi restano vincolati ad una burocratizzazione farraginosa, costosa e francamente inutile. I costi della burocrazia solo in parte sono costi diretti, in realtà sono soprattutto costi indiretti legati ai ritardi, alle sovrapposizioni tra i servizi, alla incapacità di offrire risposte chiare e nette alle richieste dei cittadini. Generano quei costi da mancata qualità che non sempre sono direttamente monetizzabili, ma che circondano il sistema sanitario di una spessa coltre di nebbia.
I costi della sanità infatti sono anche i costi della inadeguatezza dei suoi modelli organizzativi, ormai obsoleti; appesantiti da una lunga catena di rimandi decisionali, in cui è difficile raggiungere velocemente i soggetti realmente preposti a prendere le decisioni. Se la burocratizzazione, con il suo anonimato relazionale, fa lievitare i costi del sistema in modo spesso difficile da evidenziare, la semplificazione del sistema impone decisioni rapide, per evitare che il sistema assorba risorse che dovrebbero essere naturalmente destinate alla prevenzione, alla cura e alla riabilitazione dei pazienti. I costi tra il nord e il sud non sono paragonabili per la discrepanza che c’è tra consumo di risorse e insoddisfazione dei pazienti, ma R. Calabrò fa un’analisi che intercetta tutta la positività potenziale della sanità del Sud. E Mattioni, analizzando il diritto regionale con la sua complessità normativa riesce a dare una chiave interpretativa molto interessante delle differenze che ci sono tra un’azienda e l’altra, tra un ospedale e l’altro. La forbice tra qualità dei risultati e costi sostenuti desta spesso sconcerto e fa pensare a fenomeni di incompetenza, di clientelismo e di corruzione. La differenza nei bilanci sorprende e scandalizza, non meno della differenza dei risultati clinici: il fattore umano costituisce un differenziale semantico imprevedibile e non accettabile. La domanda che nasce spontaneamente è più o meno questa: “ma la politica riesce a ridurre le differenze, vigilando su costi e risultati, oppure è lei stessa fattore di disparità, quando interviene con scelte inadeguate sotto il profilo umano, scientifico ed economico…”.
È l’invadenza politica che accentua queste differenze, rendendo più ingiusto il sistema, oppure è l’incapacità delle aziende a fronteggiare la situazione che induce a gestire male le sue risorse…
Il gap che separa il soggetto malato dal sistema che dovrebbe prendersene cura si sta dilatando patologicamente invece di ridursi come sarebbe fisiologico in un sistema sano. E il Dossier con i suoi esperti cerca di entrare nel dettaglio delle questioni, per capire dove si annidino i fattori di rischio e come si potrebbe convertirli in fattori di protezione del sistema. Ne parlano Enrico Bollero e Nicola Falcitelli, con la lunga esperienza accumulata in tanti anni di lavoro in questo campo.

Se la salute è un diritto, e l’articolo 32 della nostra Costituzione lo afferma in modo molto chiaro: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”, allora va garantita a tutti i cittadini nello stesso modo, indipendentemente dalla città o dalla regione in cui sono nati o vivono. Antonio Tomassini, presidente della Commissione Sanità al Senato, affronta il tema della malasanità mettendo in evidenza come tocchi al Parlamento garantire questo diritto e regolamentare in maniera definitiva il tema della responsabilità professionale del medico che si ripercuote in maniera negativa sui costi e sull’efficienza del sistema. Non è solo la precarietà economica a rendere difficile soddisfare il diritto alla salute dei pazienti e neppure gli attuali modelli organizzativi delle aziende sanitarie, ciò che il malato percepisce con immediatezza è soprattutto la disponibilità dei medici, degli infermieri, dell’amministrazione. Disponibilità e competenza effettiva degli operatori definiscono il profilo della loro responsabilità personale e collegiale, perché indubbiamente dietro ogni fatto di malasanità c’è una omissione di responsabilità.
La malasanità, analogamente alla malapolitica, danneggiano il Paese in modo molto più grave di quanto non si possa rilevare dai singoli fatti di malasanità e di ingerenza politica in sanità. Inquinano il rapporto di fiducia che lega il cittadino alle istituzioni, un rapporto che assume contorni del tutto particolari quando si tratta del rapporto asimmetrico dei malati con le aziende sanitarie e con chi deve erogare i servizi di cui hanno urgente bisogno. In una logica contrattualistica come quella prevalente in sanità il malato è sempre la parte debole: debole perché tale lo rende la malattia di cui soffre, debole perché esprime un bisogno spesso indifferibile, debole perché non è certamente in grado di sostenere i costi dell’assistenza al di fuori del SSN.
La sanità è un sistema complesso di cui tutti siamo parte integrante, sia pure a titolo diverso, con ruoli diversi e con compiti ed aspettative diverse. Il termine sistema si applica alla sanità in modo proprio perché tutti gli elementi che lo compongono sono interdipendenti e la qualità, sia quella oggettiva che quella soggettiva,dipendono da un mix di fattori interconnessi. Per questo dobbiamo avere il senso di responsabilità necessario a contenere gli sprechi, a razionalizzare l’uso delle risorse, a modulare le richieste in modo adeguato ai bisogni effettivi. Sul tema della Governance e del governo clinico si sono soffermati sia Anna Banchero che Marco Calgaro, entrambi alla ricerca di risposte nuove per ipotizzare le riforme necessarie nel modo di governare la sanità. La riforma del governo clinico è contenuta in una serie di disegni di legge che stentano a decollare proprio perché richiamano molti interessi difficili da armonizzare. Dalla selezione dei direttore generali alla valutazione dei loro risultati, dal concetto di policlinico universitario a quello di azienda mista, dalla gestione dell’intramoenia fino all’intramoenia allargata. Conciliare equità ed efficienza, solidarietà e trasparenza non è mai facile né scontato.
Ma è urgente capire in che modo la politica possa o non possa intervenire in questi processi: il rapporto fiduciale che il direttore generale deve avere con l’assessore alla sanità giustifica che sia quest’ultimo a decidere chi deve guidare l’azienda? E fino a che punto deve spingersi in questa sua azione di controllo anticipato dei risultati? Quanto deve pesare nella scelta dei primari e dei direttori di unità complesse il parere politico e il parere politico deve avere presenti le capacità cliniche, scientifiche e gestionali del soggetto o solo la sua appartenenza politica?
Perché se il rapporto tra politica e sanità deve riguardare le politiche di indirizzo e di valutazione dei risultati, dovrebbe invece escludere radicalmente il giudizio sulle idee politiche dei rispettivi candidati. L’azione clinica non ha e non dovrebbe avere nessun colore politico, dal momento che il medico a sua volta non può e non deve in nessun modo discriminare i suoi pazienti sulla base delle loro idee politiche. La libertà di scelta in campo politico non deve intaccare la libertà di scelta in campo sanitario, anche questo è democrazia e in quanto tale va garantito e tutelato.
Walter Ricciardi e il suo gruppo di ricerca si sono soffermati sui processi decisionali in sanità utilizzando il paradigma dell’Evidence based Management, come approccio scientifico ad un tema che a volte sembra sottrarsi alla valutazione scientifica per essere consegnato ad una valutazione soggettiva che non garantisce certo equità ed efficienza al sistema sanitario. I processi decisionali sono il punto finale del ragionamento clinico, che dopo aver raccolto con l’anamnesi e con una serie di accertamenti diagnostici gli elementi necessari per fare una ipotesi di lavoro da verificare sul campo, deve approdare ad una decisione che definisca la diagnosi e stabilisca la terapia. Non sempre però sul piano organizzativo, e perfino quando ci si trova davanti a scelte strategiche, i processi decisionali rispondono a questi criteri di oggettività e di condivisione nel team di lavoro. Ricciardi analizza il supporto che l’Evidence based Management può offrire quando la complessità dei problemi rischia di essere fuorviante e lascia all’eloquenza di questo o quell’operatore il maggior onere della decisione. Alla fine sembra prevalere non chi ha ragione, ma chi argomenta meglio il proprio punto di vista o chi dispone di appoggi più adeguati a forzare l’interpretazione dei fatti su cui si deve decidere.
Il tema dell’equità non può essere disgiunto da quello della solidarietà e sono molto interessanti in tal senso il contributo di Aldo Morrone, quello di Francesco Coscia e quello di Paola Gigliotti, da sempre impegnati sul fronte della medicina delle immigrazioni e su quello della assistenza in scenari estremi. Hanno cercato di assumere un punto di vista che contempli la complessità anche in questi scenari, tutt’altro che usuali, ma sempre più frequenti. Rifuggendo dai facili riduzionismi e da pericolose strumentalizzazioni, hanno cercato di dare senso alle difficoltà con cui sia la Sanità che la Politica devono confrontarsi nella loro reciproca interazione quando l’urgenza detta l’agenda e non c’è tempo per inutili rimandi. È l’evidente il desiderio di stimolare il dialogo tra tutte le parti in gioco, per abbattere steccati e non scivolare nell’autoreferenzialità di chi ritiene che il proprio punto di vista possa prevalere su quello altrui. Cosa davvero pericolosa quando si mette in gioco la propria competenza in contesti geopolitici che non sono i propri e invece di essere portatori di pace si finisce col diventare fattori di criticità. Gestire la sanità in contesti sconosciuti ma caratterizzati da una intensa richiesta di aiuto ignorando la cultura e l’assetto dei Paesi può creare non pochi problemi, perché mentre si fa luce su alcuni aspetti, si getta un cono d’ombra su altri.
Domenico Di Virgilio si è soffermato sulla complessità della relazione tra bioetica, biodiritto e biopolitica cogliendone le aree di potenziale conflittualità, ma valorizzandone anche le possibili interazioni. Etica ed economia sono un binario concreto su cui la sanità moderna deve fondare le sue decisioni, non bastano le competenze cliniche né la cultura scientifica, per caratterizzare responsabilità personale e responsabilità sociale. Eugenio Gaudio e Angelo Zanibelli, in collaborazione con Sara Vinciguerra affrontano il rapporto tra politica e sanità sotto il profilo della formazione medica nel duplice profilo clinico e scientifico. Assistenza e didattica, ricerca scientifica e sviluppo tecnicoscientifico formano un intreccio molto forte e ricordano a tutti come sia necessario reimpostare la formazione aiutando le persone a mettersi sempre dal punto di vista dell’altro per garantire una visione d’insieme più completa e offrire un servizio realmente efficace alla società. Il contributo di Giovanna Vicarelli aggiunge a queste riflessioni la consapevolezza di come sia necessario mantenere vivo anche l’approccio sociologico se si vuole comprendere l’impatto che l’aspetto sociale ha sul piano della sanità.
Nel Dossier c’è un filo rosso che prende le mosse dall’acquisita consapevolezza che per governare tutti i processi di cura si debba andare oltre i confini della classificazione nosologica, per valutare quanta intensità di cura richiedano i pazienti nelle diverse fasi della loro malattia. L’intensità di cura come parametro di rivisitazione dell’attività clinico-assistenziale è uno degli elementi che caratterizzano i DRG, ancora oggi piattaforma fondamentale per calcolare costi e rimborsi a livello regionale. Anche se gli stessi DRG, salutati all’inizio come una rivoluzione benefica, destano non poche perplessità, che meritano un’analisi più approfondita. Ne parlano Laura arcangeli e Francesco Taroni, noti per la loro esperienza in questo specifico campo. La “filosofia” dei DRG, nonostante sollevi alcuni interrogativi, andrebbe applicata anche all’assistenza domiciliare che ha come oggetto la cura di pazienti cronici, di disabili, di grandi anziani: tutti pazienti accomunati da un bisogno di assistenza che in alcuni casi diventa indispensabile 24 ore su 24. In realtà l’assoluta disparità tra rimborsi ospedalieri e rimborsi domiciliari non rende giustizia all’impegno che le famiglie investono quando decidono di prendersi cura dei loro familiari tenendoli in casa con loro. Le recenti difficoltà economiche del Paese minacciano di lasciarle ancor più sole, facendone degli ammortizzatori sociali ingiustamente sovraccaricati di lavoro e di fatica. Si può parlare di una vera e propria sindrome da stress da assistenza domestica, con un corteo sintomatologico quanto mai variegato e a sua volta invalidante, che va dai disturbi dell’umore ai disturbi osteo-articolari. Costi che si aggiungono ad altri costi, ma anche costi indiretti, costi apparentemente invisibili, che impongono alla politica uno sguardo più lucido e più ampio.
Mario Falconi, medico di famiglia e presidente dell’ordine dei medici di Roma, conosce bene questo problema che tratta con convinzione e competenza. L’aumento dell’età media, che supera sempre più frequentemente la soglia dei novanta anni, pone nuovi ed inediti bisogni di assistenza. Le politiche sanitarie e le politiche sociali si interfacciano in modo sempre più stretto ed è materialmente impossibile distinguere tra ciò che è di stretta competenza sanitaria e ciò che è di competenza sociale, perché tutto concorre a definire i bisogni richiesti dal profilo di cura del paziente, anche in funzione del margine di collaborazione e di integrazione che si può stabilire con la sua famiglia.
Il Dossier però non si limita a considerare la politica come causa di patologia del sistema sanitario, prova a vederla in una prospettiva di servizio coerente con la sua mission: la politica come terapia del sistema. Ovviamente si parla della buona politica che genera buona sanità, come la cattiva politica genera malasanità. Ciò accadrebbe se la politica fosse capace di superare i bizantinismi di una governance appesantita da ruoli svolti in modo poco competente o addirittura superflui. Una politica capace di scelte coraggiose che rifiutano la logica dei tagli lineari per entrare nel merito delle questioni e dare priorità a ciò che ha priorità. Una politica flessibile, capace di adattarsi alle esigenze, quando le esigenze mutano, rapida nel fornire le sue risposte, tenendo conto che certe malattie non aspettano. Ne parla Claudio Gustavino che descrive una speranza non facile da realizzare, ma certamente necessaria per tutti noi.
La buona politica è consapevole che se oltre l’80% del bilancio regionale va in sanità, questo esige garanzie da tutti i servizi, a qualsiasi titolo siano erogati e non può tollerare una cattiva amministrazione delle risorse pubbliche, né può scivolare nella palude melmosa della malasanità, della corruzione, della sciatteria o dell’indifferenza.
Una politica nazionale esigente nella definizione degli obiettivi del piano sanitario nazionale e ancor più esigente nella verifica dei risultati di volta in volta ottenuti sia a livello di gestione amministrativa che di qualità sanitaria, o meglio ancora sociosanitaria, rispettosa delle scelte fatte dalle regioni sulle modalità in cui raggiunge questi risultati, ma severa nel giudicarne la concretezza effettiva. La politica del futuro di cui parla Fazio in conclusione del Dossier e che vorremmo fosse la politica del presente.

di Paola Binetti

 

 

 

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