EDITORIALE L'ARCO DI GIANO n° 60 - 2009

           
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Arco di Giano



Culture religiose e medicina


N° 60 - estate 2009


Culture religiose e medicina

Questo fascicolo de "L'Arco di Giano" si colloca in un ben preciso filone d'interesse per le problematiche interculturali e interreligiose che caratterizza la rivista da molti anni. Ricordiamo ad esempio i volumi su Multietnicità e salute (n. 31 del 2002), su Oriente-Occidente: pensiero e scienza medica a confronto (n. 33 del 2002), su L'AIDS in Africa e oltre (n. 51 del 2007). E questo solo per citare alcuni dei numeri più recenti.
Non si tratta solamente di un'attenzione per altri modi di sperimentare e di vivere la pratica medica: un'attenzione che oggi è tanto più doverosa da parte di chi si occupa di questioni bio-sanitarie, in quanto risulta legata a una situazione di crescente presenza multietnica che riguarda - lo si voglia o no - anche l'Italia. Si tratta di qualcosa di più. L'interesse della rivista per le forme di medicina proprie di culture e tradizioni religiose altre, rispetto a quelle predominanti in Occidente, significa infatti, più in generale, la consapevolezza che medicina e dimensione religiosa non sono ambiti separati, non sono realtà contrapposte. Vi è invece un intreccio, una contaminazione fra questi due modi di espressione dell'umano, che solo un approccio unilateralmente e rigidamente scientifico tende a nascondere.
Molto spesso, nel passato, la religione si è configurata anche come promessa di guarigione fisica e non solo di salvezza spirituale. Molto spesso la medicina si è avvalsa di forme di cura che traevano legittimazione e ricevevano ulteriore efficacia dal loro legame con un'esperienza religiosa. Non parlo tanto dell'uso terapeutico che del coinvolgimento religioso può essere fatto. Mi riferisco soprattutto alla possibilità di pensare e di realizzare, anche con riferimento alla dimensione religiosa, un rapporto di cura nel quale il paziente - considerato come persona che va indotta a collaborare alla terapia - può trovare senso alla propria sofferenza.
Di tutto ciò sono pallide eredità, se non mere caricature, le ricadute in ambito medico di una sensibilità di tipo new age oggi sempre più diffusa. Si tratta sovente di una moda, certo, che però mette in evidenza una serie di problemi reali, i quali rimandano ad un più ampio contesto di fondo. Questo contesto è dato dall'intreccio di medicina e vissuto religioso. Il quale, se sembra in parte messo fra parentesi nelle realtà dell'Occidente secolarizzato, non lo è affatto in altri contesti culturali: realtà che peraltro, come accennavo poc'anzi, si mescolano oggi e si sviluppano in un Occidente sempre più multietnico. È di tutti questi temi che il presente numero de "L’Arco di Giano" intende appunto occuparsi.
Qui troveremo, infatti, una serie di saggi nei quali, dal punto di vista delle varie tradizioni religiose e delle diverse sensibilità confessionali, vengono vissute e affrontate questioni che a vario titolo interessano l'ambito sanitario. Si va dalla discussione del modo in cui, in ambito ebraico, è definita la qualità della vita e le pratiche che la possono sostenere e promuovere - come ci mostra Amos Luzzatto -, all'analisi della concezione della vita e della morte che s'impone all'interno dell'esperienza cristiana - quale viene compiuta da Giovanni Ancona, con particolare riferimento a una sensibilità cattolica - e che fa da sfondo a una particolare idea di pratica terapeutica. Si va dall'illustrazione del modo in cui - come accade nel saggio di Sergio Rostagno - il tema della libertà e dell'autonomia delle scelte in ambito sanitario può essere affrontato sia in generale, sia con un richiamo al punto di vista evangelico, all'approfondimento di quell'idea di una "medicina del profeta", presente storicamente in ambito islamico, di cui ci parla Yahya Pallavicini, mettendo in luce il rapporto che lega la scienza sacra e la cura della persona. E infine Flavia Monceri ci presenta nel suo scritto una trattazione della medicina orientale, con particolare riferimento all'area cinese, che mette in evidenza la radicale diversità di approccio di questa tradizione rispetto alle prospettive dominanti in ambito occidentale.
Tutti questi contributi, presi nel loro complesso, costituiscono comunque solo uno fra i molti percorsi possibili in grado di dare sviluppo alla tematica che vogliamo affrontare. Infatti, ad esempio, se è vero che la forte presenza di immigrati nel nostro paese costituisce indubbiamente una sfida culturale a determinate concezioni ritenute egemoniche anche in ambito bio-sanitario, è altrettanto vero che ciò determina al tempo stesso l'insorgenza di problemi concreti, che richiedono di essere gestiti con progetti dal carattere innovativo. In questo quadro si giustifica la presenza, in questo fascicolo de "L’Arco di Giano" del saggio di Aleksandra Beqaj, dedicato a uno dei primi esempi italiani di ospedale interculturale e, più nello specifico, alla figura di quel mediatore che è chiamato a favorire l'integrazione anche nelle situazioni di carattere sanitario e di cura.
D'altronde, come spesso accade, le stesse esperienze e le stesse situazioni possono essere vissute, potremmo dire, anche a rovescio. Non c'è da considerare, nell'ambito delle esperienze e delle emergenze di carattere medico, solo la questione della presenza di immigrati di culture e religioni diverse che risultano alle prese con i modelli di medicina predominanti in ambito occidentale. C'è anche da tenere presente la situazione contraria: quella di chi, in viaggio in paesi diversi per cultura e per tradizione, è costretto a usufruire dei servizi medici che essi offrono. Si tratta dello specifico tema di cui si occupa la "medicina del viaggiatore". Su ciò, appunto, si sofferma l'ampio saggio di Daniel De Wet, Claudia Bassani e Alberto Tomasi.
In conclusione, da un punto di vista più generale, questo fascicolo affronta sullo specifico terreno del rapporto fra culture religiose e medicina un tema di fondo: quello del diritto alla salute in un contesto nel quale la stessa nozione di 'salute' e lo stesso concetto di 'cura' possono assumere significati differenti. Ciò mette in questione categorie consolidate e ci costringe a rivedere il nostro approccio alle questioni bio-mediche. Ma ciò rappresenta anche qualcosa che richiede risposte concrete a livello sociale, educativo e politico: per le quali siamo tutti chiamati a impegnarci.

Adriano Fabris

 

 

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