EDITORIALE - L'ARCO DI GIANO n° 91/2017

           
INDICE EDITORIALE    

 

 

La pelle nelle arti e nella clinica.
Non c'è nulla di più profondo di ciò che appare in superficie


N° 91 - primavera 2017


 

Ho imparato rapidamente, sotto la pressione di un compito che mi è stata affidato, cos'è la cura della pelle. Ho compreso che richiede, per essere adeguata, molta ricerca, una clinica colta, un'alta capacità di relazione. Ne ho anche intuito la funzione nella vita di ciascuno di noi. Infatti i robot non riusciranno mai a sostituire un nostro simile; per quanto possa avvenire di enorme innovazione tecnologica nei prossimi anni, l'insieme di cervello e pelle resterà sempre diverso da quello di un robot, presto forse capace di capire, servire, curare, ma non di sostituire una persona, sulla quale riversare amore e la capacità di sperare assieme.

La recente esperienza all'Istituto Dermopatico dell'Immacolata mi ha confermata nella consapevolezza dello stretto legame della pelle con il quotidiano dei nostri concittadini, nelle sue mille declinazioni. Per questo ho deciso di dedicare un numero dell'Arco di Giano, rivista che dirigo da quasi trent'anni, alle malattie della pelle nella prospettiva delle medical humanities, una cultura che collega i problemi della salute con l'ampio spettro delle realtà umane.

L'IDI è un istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) che si dedica alla ricerca di base e alla trasferibilità dei risultati al malato, per una reale innovazione in ambito diagnostico e terapeutico. Gli specialisti dell'IDI sono impegnati su tutti i fronti per impostare cure rivolte sia alle patologie più diffuse sia a quelle rare. La chirurgia plastica e quella ricostruttiva contribuiscono a ridare l'identità alla persona, leniscono gravi danni psicologici, fanno recuperare speranza nel futuro. Un'istituzione, quindi, che incontra ogni giorno le fragilità umane e si impegna per dare risposte moderne, efficaci, attenta alla complessità delle dinamiche che possono aver origine da una malattia della pelle. In particolare incontra molte malattie croniche, attorno alle quali la medicina sta compiendo profondi cambiamenti, purché la ricerca fornisca adeguati strumenti interpretativi ed operativi.

I Padri Concezionisti che hanno fondato l'IDI molti anni fa rispondevano ad un'idea di cura della persona come forma di aiuto soprattutto rivolto ai poveri. I primi frati curavano tigna, scabbia ed altre gravi malattie con preparati che ottenevano loro stessi dalle erbe coltivate nell'orto che circondava il convento, lo stesso sito dove oggi sorge l'ospedale. Ancora oggi la farmacia offre preparati galenici di preziosa qualità; però il resto è cambiato in seguito al grande progresso della scienza degli ultimi decenni. In questa prospettiva è dovere primario di tutti coloro che lavorano all'IDI coniugare lo spirito "artigianale" dei primi tempi con il progresso tecnologico di oggi, perché l'operatore della salute, come un artigiano, plasma la cura tecnologica secondo il bisogno e le scelte di ogni singolo individuo.

I lebbrosi del Vangelo, che il Signore guariva, venivano sottratti alla discriminazione e all'esclusione sociale. È la stessa missione che ha realizzato Padre Luigi Maria Monti. La sua scelta, guidata dalla Provvidenza, ha attivato un apostolato originale nel panorama delle istituzioni sanitarie in generale e di quelle
religiose in particolare. Sono cambiati i tempi e sono cambiate le abitudini culturali e sociali, ma nel tempo è restata uguale la passione clinica e l'attenzione alla dignità della persona. Talvolta i limiti economici imposti dalla difficoltà del nostro sistema di welfare sembrerebbero oscurare queste scelte; è compito pesante ma non rinunciabile di chi amministra evitare che ciò avvenga.

In conclusione, ritengo si addica a coloro che lavorano nelle diverse professioni sanitarie, studiano, ricercano e amministrano l'ospedale quanto sosteneva il primo medico dell'IDI, il dottor Emanuele Stablum, il quale esortava a “cercare sempre, tra le pieghe del dolore fisico, il tormento di un anima” e di allontanarsi da un sofferente “solo quando le cure premurose e le parole amorevoli di comprensione ce lo hanno reso amico”.

Ringrazio il dottor Andrea Barbieri per il coordinamento editoriale colto ed accurato di questo numero della rivista.

 Mariapia Garavaglia

 

 

 

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