INTRODUZIONE - L'ARCO DI GIANO n° 90/2016

           
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Salute e nuovi rischi ambientali

N° 90 - inverno 2016


 

Dallo sviluppo sostenibile alla “laudato si’”. Un cambiamento nei rapporti tra umanità e natura
di Corrado Poli



Premessa
Da ormai una quarantina d’anni la questione ambientale è costantemente cresciuta di importanza nelle politiche dei governi e nelle coscienze dei cittadini. Basti pensare come fino agli anni ottanta non esistessero praticamente corsi universitari che aggiungevano alle tradizionali discipline l’aggettivo “ambientale” che ora viene associato a numerose discipline. Ma nel corso del tempo i temi e i significati sono progressivamente cambiati. Quando nel 1973, Peccei e il Club di Roma intervennero per la prima volta in modo autorevole nella questione, si pose l’accento sull’esaurimento delle risorse. In seguito nacque il problema del nucleare e in generale dei rischi prodotti da produzioni che potevano provocare incidenti gravi (da Seveso a Bhopal, da Three Miles Island a Chernobyl). L’inquinamento dell’aria delle città e dell’acqua, nonché lo smaltimento dei rifiuti divennero pure motivo di preoccupazione. Oggi ai problemi più urgenti da risolvere dal punto di vista della tutela della salute si aggiungono le biotecnologie, gli organismi modificati geneticamente – compresi in qualche modo gli esseri umani – e in generale l’artificializzazione della natura.  

Dalla Commissione Brundtland a Papa Francesco
Quando si parla di ambiente, la parola più frequentemente usata è “sostenibilità”. Il riferimento è al principio dello “sviluppo sostenibile” promosso nel 1987 dalla Commissione Mondiale su Ambiente e Sviluppo, nota anche come Commissione Brundtland istituita dalle Nazioni Unite. Membri di tutti i paesi del mondo identificarono lo sviluppo sostenibile come “il criterio per valutare i mutamenti prodotti dagli esseri umani sull’ambiente”, e lo definì come quel modello di sviluppo che “consente di soddisfare i bisogni del presente senza pregiudicare la possibilità delle future generazioni di soddisfare i loro” (U.N. World Commission on Environment and Development 1987: 43). Si trattò di un compromesso necessario per conciliare i bisogni dei paesi occidentali e quelli dei in via di sviluppo, in particolar modo la Cina, l’India e il Sud Est asiatico in cui vivono oltre due miliardi di abitanti. I governi dei paesi occidentali opulenti dovevano rispondere alle esigenze di cittadini che chiedevano una maggiore tutela della salute minacciata dall’inquinamento e una migliore protezione dell’ambiente devastato per le esigenze di un’economia di sfruttamento di ogni risorsa naturale. Anche dal punto di vista politico stavano crescendo i partiti ambientalisti sostenuti da un’opinione pubblica sempre più attenta alla materia. I partiti ambientalisti avevano sostituito nella contestazione radicale al sistema politico sia i partiti comunisti storici, sia i gruppi della sinistra radicale che avevano percorso la vita politica degli anni settanta. I paesi in via di sviluppo avevano esigenze di crescita per fare fronte ai bisogni essenziali della popolazione e alla legittima ambizione di un tenore di vita comparabile con quello dei paesi sviluppati.
La definizione di sviluppo sostenibile è di per sé un trucco linguistico, quasi un ossimoro: lo sviluppo non ha bisogno di aggettivi, poiché, se è vero sviluppo non può che essere sostenibile. In effetti lo si sarebbe dovuto chiamare “crescita sostenibile”. Vale a dire che, senza cambiare la struttura dell’economia e delle produzioni di base, si introducevano delle limitazioni alle emissioni dannose alla salute e ai rischi di disastri ambientali. Purtroppo, questo modesto per quanto necessario compromesso tra due esigenze contrastanti, nel corso del tempo s’è trasformato in una pseudo-ideologia che ha bloccato un pensiero critico sul modello di sviluppo facendo ritenere sufficiente la cosiddetta “sostenibilità”. Se ne deduce che mentre all’inizio si poteva parlare di un normale e opportuno compromesso politico, in seguito lo sviluppo sostenibile s’è trasformato in un inganno, per quanto in parte inconsapevole. Le posizioni più radicali a favore di una maggiore tutela ambientale sono state assunte dal movimento della cosiddetta “de-crescita”: ma anche questo concetto è negativo e protestatario poiché propone la diminuzione della crescita tradizionale anziché avere il coraggio di parlare di sviluppo e di maggiore benessere sia pure da conseguire percorrendo vie diverse.
Dal 1987 – senza che ce ne siamo accorti sono passati ben trent’anni! – la situazione economica e politica del mondo era profondamente diversa. Anche per merito di quel compromesso, oggi ci sono le condizioni tecniche e le conoscenze scientifiche idonee a uno sviluppo e una crescita economica che elimini gli impatti ambientali negativi e agisca positivamente sulla salute. Ne ha preso atto Papa Francesco con l’Enciclica “Laudato si’” che ha impresso una svolta decisa anche al pensiero della Chiesa e ha posto al centro della riflessione il rapporto tra umanità e natura rivolgendo un appello specifico alla tutela della salute. In questo senso la prima parte dell’Enciclica prospetta un cambiamento profondo nel rapporto tra umanità e natura per mezzo di rigorose affermazioni etiche e teologiche. La seconda parte, sia pure con alcune incertezze e confusioni dal punto di vista espositivo, rappresenta un punto di partenza importante per l’auspicabile superamento della pseudo-ideologia dello sviluppo sostenibile1.

Un’analisi dell’enciclica
Per quanto concerne i rapporti tra bioetica, etica medica e ambiente, nell’Enciclica di Papa Francesco “Laudato si’” si nota anzitutto un riaccostamento tra bioetica e ambiente che era andato perduto nel momento in cui la pseudo-ideologia dello Sviluppo Sostenibile aveva limitato la questione ambientale a un problema economico e tecnico. La Chiesa è sempre stata attenta al rapporto tra umanità e natura sebbene il Cristianesimo – o meglio la tradizione giudaico-cristiana e in genere le religioni abramitiche – sia stato ripetutamente accusato di essere una delle cause della crisi ambientale. Questa ipotesi è stata considerata priva di solide basi se assunta in modo integralista come spesso è avvenuto da parte di taluni (cfr. il classico saggio di Passmore 1974). Ciononostante, Bergoglio si assume coraggiosamente alcune responsabilità di una concezione del mondo, anche da parte della cristianità, che ha considerato la natura solo un oggetto da sfruttare. È interessante notare come, nel fare la storia recente del pensiero ecologico della Chiesa, Papa Francesco inizi con una citazione di Paolo sesto del 1971. Letta oggi, sembrerebbe una posizione radicale e ambientalista, ma riportata all’epoca in cui fu scritta si comprende che si rifà piuttosto al rispetto delle tradizioni premoderne. Paolo sesto sottolineava che “il bisogno urgente di un cambiamento radicale e una critica allo straordinario sviluppo tecnologico e crescita economica” non sono accettabili a meno che non “siano accompagnate da un autentico progresso morale”2. Questa era la Chiesa che difendeva ancora la società tradizionale e cercava di rallentare la sovversione dei valori che in quel tempo era particolarmente radicale e rapida. La questione ambientale fu pure presa in considerazione da Giovanni Paolo secondo il quale affermava che “la distruzione dell’ambiente umano è estremamente seria, non solo perché Dio ha consegnato la responsabilità del mondo a uomini e donne, ma perché la vita umana stessa è un dono di per sé che deve essere difeso da varie forme di degrado”. Auspicava un cambiamento negli stili di vita, di produzione e di consumo, nonché delle strutture di potere che governano le società. A differenza di Paolo sesto che si preoccupava della conservazione dei valori tradizionali, Papa Wojtila accettava il mondo moderno e auspicava tuttavia l’affermazione di una società più rispettosa che sapesse rielaborare un nuovo rapporto con la natura.
Nel proseguire l’analisi delle posizioni assunte dai suoi predecessori il Papa ricorda, infine, Benedetto quindicesimo la cui posizione appare più conservatrice del modello di sviluppo attuale. Ratzinger infatti sostiene che occorre eliminare “le cause strutturali e le disfunzioni dell’economia mondiale e correggere i modelli di crescita”. Non pone quindi in discussione, come fa Papa Francesco (e in parte Wojtila), il modello di crescita, ma si propone semplicemente di correggerlo. In questa prospettiva è perfettamente in linea con l’impostazione dello sviluppo sostenibile. Pur argomentando che non si possono isolare i vari aspetti del “libro della natura”, non disconosce l’importanza della scienza e della dottrina nello stabilire la verità. Il “male” infatti deriverebbe, secondo Benedetto quindicesimo, dalla “nozione che non esistono verità indiscusse per guidare le nostre vite e quindi la libertà umana è senza limiti”. Nel ribadire la propria profonda convinzione nel primato dell’uomo, Benedetto sollecita a rendersi conto che “il cattivo uso della natura comincia quando non riconosciamo nulla di superiore a noi stessi, null’altro se non noi stessi”.
Le tre posizioni dei Papi che l’hanno preceduto sono molto diverse le une dalle altre e segnano diversi momenti storici e di evoluzione del pensiero della Chiesa nel rapporto tra umanità e natura. Nel superarle Francesco riconduce il discorso su un piano diverso. L’impostazione del suo pensiero prende spunto non tanto dai suoi predecessori quanto da un’affermazione del Patriarca Ecumenico Bartolomeo che gli consente di richiamarsi direttamente a San Francesco. Il Papa condivide l’affermazione di Bartolomeo quando quest’ultimo sostiene che “degradare l’integrità della Terra causando cambiamenti nel suo clima, privandola delle sue foreste naturali o distruggendo le aree umide … sono peccati”. E aggiunge che “commettere un crimine contro il mondo naturale è un peccato contro noi stessi e un peccato contro Dio”. Sulla base di questa osservazione si deve ritornare alle radici etiche e spirituali del rapporto tra natura e ambiente e prende le distanze dalla tecnologia che non è né un fine in se stesso né qualcosa che debba sfuggire al controllo dell’umanità. Senza soluzioni che richiedono un cambio nel modo di agire e pensare dell’umanità, avremo a che fare solo con i sintomi della malattia che affligge la Terra. Il consumo va rimpiazzato con il sacrificio, l’avidità con la generosità, lo spreco con uno spirito di condivisione. È necessario un ascetismo che “comporta l’imparare a donare e non solo ad abbandonare quel che non serve. È un modo questo di amare e di spostarsi gradualmente da quel che io voglio a quello che vuole Dio. È liberazione dalla paura, dall’avidità e dalla dipendenza”. Da questa affermazione del Patriarca il Papa arriva alla citazione di San Francesco per il quale “la povertà non era solo una mera sverniciata di ascetismo, ma qualcosa molto più radicale: un rifiuto nel trasformare la realtà in un oggetto da essere soltanto usato e controllato”. Il passo successivo – lasciato in sospeso – potrebbe essere che la natura non vada considerata per nulla un oggetto, ma un soggetto essa stessa stabilendo così di fatto una continuità tra umanità e natura come sostenuto da alcuni filosofi contemporanei e dalle religioni orientali. Una tale affermazione avrebbe costituito un ribaltamento troppo radicale e tuttavia nella “Laudato si’” si intravvede un’apertura a questo modo di pensare che va diffondendosi tra coloro che sono più attenti ai bisogni spirituali. D’altra parte l’idea che gli esseri umani siano “superiori” agli altri elementi della natura non va necessariamente in conflitto con la concezione della natura come soggetto dotato di diritti propri.

Il modello occidentale
Nell’Enciclica “Laudato si’” di Papa Francesco si avverte un cambio di impostazione rispetto a precedenti prese di posizione sia della Chiesa sia di una parte della cultura ambientalista. Dal punto di vista del rapporto tra ambiente e salute emergono in modo evidente l’esigenza della prevenzione e la conferma che la natura non può essere manipolata oltre un certo limite.
Quanto alla prevenzione delle malattie da inquinamento, l’enciclica esordisce nella sua parte descrittiva proprio facendo riferimento al deterioramento della salute che provoca numerose morti premature e la diffusione di patologie meno gravi, ma sempre più diffuse anche nel mondo occidentale. Questa è un’osservazione importante poiché riferendosi ai problemi dei ricchi, critica indirettamente un modello di sviluppo che non va ripetuto esattamente allo stesso modo nei paesi più poveri. Sebbene afflitti da gravi problemi, essi non devono vedere la soluzione nel modello occidentale di produzione e di sfruttamento della natura. Il Papa non si esprime in modo sovversivo nei confronti di quei principi di libertà e giustizia che caratterizzano la civiltà occidentale. Né condanna i progressi tecnici e nella qualità della vita che siamo riusciti a ottenere fino a un certo punto della nostra storia. Invece è molto critico nel giudicare l’atteggiamento “contro-natura” di alcune recenti tecnologie, delle esagerazioni nelle manipolazioni anche genetiche e in generale della artificializzazione del mondo. Si tratta di un problema di limiti: la tecnologia, dichiara il Papa, ha risolto molti problemi, ma si è arrivati al punto che oggi ne crea più di quanti ne risolva, soprattutto se prevale l’interesse commerciale. Anche dal punto di vista epistemico il Papa interviene contro la scienza e la tecnologia tradizionali riduzioniste e incapaci di stabilire il “misterioso network” delle relazioni tra le cose. L’uso della parola misterioso intende sottolineare il senso del timore che noi dovremmo ancora avere nei confronti del creato e di Dio rinunciando alla pretesa di una conoscenza totale. Per secoli abbiamo perseguito l’obiettivo di conoscere il tutto cercando di segmentare il mondo in parti. Così facendo abbiamo tentato di eliminare l’arcano inconoscibile delle relazioni e quindi il senso profondo della creazione e del timore di Dio che solo la Grazia della fede può alleviare. Questa impostazione può essere interpretata come un messaggio agli scienziati a individuare nuovi percorsi di conoscenza e tecnologie che riconcilino con il mondo naturale che non può considerarsi qualcosa completamente “altro” rispetto all’umanità. In questo senso il Papa incoraggia un’epistemologia radicale minoritaria, ma da tempo diffusa.

Un abbandono dell’antropocentrismo?
Non si può affermare che Papa Francesco abbia assunto una posizione cosiddetta “eco-centrica” in cui l’essere umano è considerato allo stesso rango della “natura”. Infatti egli ribadisce che anche le nuove tecnologie e tutte le invocazioni al rispetto “aiutano a costruire un’impostazione all’ecologia che rispetti l’unicità della collocazione nel mondo degli esseri umani”, ma aggiunge significativamente: “e la nostra relazione con quel che ci circonda”. Quel che conta quindi non siamo noi e la natura, ma la relazione. Queste affermazioni non sono estemporanee essendo radicate in scuole di pensiero articolate e spesso dialetticamente alternative.
Secondo il Papa, la scienza e la tecnologia devono quindi rifarsi al pensiero di San Francesco che “ci aiuta a vedere come il richiamo a un’ecologia integrale solleciti l’apertura a categorie che trascendono il linguaggio della matematica e della biologia, e ci conducono al cuore di quel che è davvero umano”. Si deduce perciò che quel che è davvero umano è imperscrutabile e la nostra relazione con la complessità della natura non può essere ridotta alla sola scienza così come molti speravano prima della crisi ecologica. San Francesco, riportato dal Papa nell’Enciclica, accomuna all’umanità tutta la Creazione e predica ai fiori e agli animali invitandoli a “pregare il Signore, come se essi fossero dotati di ragione”. Si introduce così un dubbio sul primato delle emozioni sulla ragione: la realtà non è un oggetto da usare e controllare, ma la realtà siamo noi. D’altra parte persino la fisica ci insegna che spesso gli strumenti usati per misurare cambiano l’oggetto osservato per il solo fatto di osservarlo e subentra una con-fusione tra oggetto e soggetto.

Enciclica e salute
Tornando alla questione della salute e della medicina, dall’Enciclica si rileva un invito anzitutto a una vera prevenzione: “il più delle volte non sono state prese misure finché la salute della gente non è stata compromessa in modo irreversibile”. Si investe moltissimo nella ricerca per le cure, ma si fa poco per evitare la diffusione di malattie dovute all’inquinamento. I tumori sono in crescita esponenziale in alcune zone dove pure esistono condizioni di vita opulenta. Tuttavia ancora si discute all’infinito se questo dipenda da tale o tal altro agente tossico o dal caso anziché affrettare la chiusura delle emissioni sospette. Il principio di precauzione non è applicato con il rigore dovuto. Prima di prendere decisioni di bloccare situazioni a rischio, si attende una “prova scientifica” che non sempre è possibile fornire e sulla quale esistono posizioni contrastanti e un’autorevolezza debole di chi dovrebbe dare risposte. Se è vero che l’occupazione e i profitti devono essere salvaguardati per sostenere l’economia, le parole del Papa riportate sopra invitano a uno stile di vita meno avido e più modesto, ma in armonia con la natura.
Le ricerche epidemiologiche sulla diffusione delle malattie derivanti dall’avvelenamento di aria e acqua ricevono molto meno finanziamenti e ancor meno attenzione rispetto a quelle per la cura. Anche senza volere essere radicali nel diffondere un clima di caccia alle streghe “inquinanti”, dall’Enciclica appare chiaro l’appello a rivedere questa impostazione. Si devono poi aggiungere anche le situazioni meno drammatiche che il deterioramento ambientale provoca sulle persone. Non si tratta di evitare, contrastare e curare malattie mortali e nemmeno croniche o molto diffuse quali l’asma, le patologie cardio circolatorie ecc.; il nostro rapporto con la natura implica anche la qualità della vita che include ambienti urbani vivibili, verde pubblico, architetture che si concilino con l’ambiente, l’eliminazione del rumore. La diffusione di patologie da stress e da depressione sono indirettamente o direttamente la conseguenza del rumore, della sporcizia e del disagio ambientale. Questo non è compito della medicina (della cura) ma della politica della salute che fa progressi molto più lenti che non nelle cure. E forse per certi versi è persino regredita.
Infine, va ricordato come il rapporto tra politiche ambientali e bioetica vada reso molto più stretto e diretto di quanto non sia oggi. La perdita di biodiversità e le manipolazioni genetiche che oggi riguardano gli esseri umani tanto quanto la natura vanno affrontate in un’ottica di maggiore responsabilità e prudenza.

Conclusione
Non ci troviamo di fronte soltanto a problemi ambientali, secondo l’Enciclica, ma dobbiamo accettare che la questione ambientale riguarda tutti gli aspetti della vita umana e della responsabilità delle scelte umane. Dobbiamo, secondo il Papa “udire il grido della Terra tanto quanto quello dei poveri” e quindi, viene da aggiungere, che la povertà non può essere una scusa per il saccheggio della natura.
Se dunque prima dell’Enciclica il cristiano poteva accontentarsi di risolvere una lista di problemi ambientali, oggi Papa Francesco lo invita a farsi carico di una cultura “ecologica che non può ridursi a una serie di risposte urgenti e parziali ai problemi immediati…”. Occorre intraprendere un’altra via. Nella classificazione che ho proposto in “Politica e natura” identificavo quattro livelli di coscienza ambientale in ordine di progressivo radicalismo (2015-2017); l’Enciclica si colloca a livello avanzato (tra il terzo e il quarto) chiamando l’umanità a rivedere nel profondo i rapporti con la tecnologia, la lotta alla povertà e finalmente, alla natura.  Altrimenti, aggiunge il Papa, anche “le migliori pratiche ecologiche si potrebbero trovare intrappolate nella stessa logica globalizzata”.


Bibliografia
Lettera Enciclica Laudato si’ del Santo Padre Francesco sulla cura della casa comune (2015). http://w2.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20150524_enciclica-laudato-si.html.
Passmore J. (1974). Man’s Responsibility for Nature, Scribner’s, New York.
Poli C. (2017). Politica e Natura. L’inganno della sostenibillità. Proget Edizioni, Padova (Edizione originale Environmental Politics. New Social and Economic Constituencies. Springer, New York-London 2015).
U.N. World Commission on Environment and Development (1987) “Our Common Future”. OxfordUniversity Press. Oxford.

 

Note
1 Alla chiarezza della prima parte, si contrappone il testo della seconda parte in cui il Papa – o chi l’ha redatto – si dilunga su problemi tecnici arrivando a proporre soluzioni specifiche. Anche questa è una conseguenza (negativa) della trasformazione della questione ambientale da problema (bio)etico a tecnologico che s’è radicata nella mentalità di chi opera in questo settore sulla scorta della pseudo-ideologia dello sviluppo sostenibile. Queste considerazioni sono elaborate ampiamente nel mio “Politica e natura: l’inganno della sostenibilità” (Poli 2015-2017).
2 Le citazioni virgolettate sono la mia traduzione dalla versione inglese e possono quindi essere leggermente diverse da quelle italiane che comunque non sono originali poiché a loro volta verosimilmente tradotte dal Castigliano in cui il Papa ha steso la bozza dell’Enciclica, soprattutto nella sua prima parte.



 

 

 

 

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