EDITORIALE - L'ARCO DI GIANO n° 96/2018

           
INDICE EDITORIALE    

 

 

 

 

L’autodeterminazione. Profili bioetici, biogiuridici, biopoliticià
 

N° 96 - estate 2018


 

È assai arduo contestare che l'autodeterminazione sia un totem della cultura postmoderna. Che ne sia persino una “paranoia”, o meglio ancora la paranoia dominante, è quanto sostiene Francesco D’Agostino nel primo contributo di questo volume monografico sull'autodeterminazione tra bioetica, biogiuridica e biopolitica.  A partire dalla riflessione sulla differenza (anche teologicamente meditata, in relazione all'esperienza cattolica del complesso dinamismo che s'instaura nella coscienza personale del credente) tra libertà e autonomia, il filosofo del diritto romano, in apertura di questo volume monografico, offre una lettura critica degli eccessi del laicismo contemporaneo, proponendo dell'autodeterminazione una rilettura fondata nei termini, sicuramente più congrui con l'etica ed il diritto, di un “impegno consapevole per il bene”, individuale e comune.

All'interno del quadro antropologico ed etico così delineato, i successivi contributi propongono un itinerario lungo i meandri della riflessione bioetica, biogiuridica e biopolitica, che non pretende di essere esaustivo ma mira almeno ad individuare alcuni dei principali snodi tematici, sul piano teoretico, e sul piano applicativo alcune delle più urgenti sfide pratiche che l'attuale dibattito richiede di approfondire. Secondo lo stile della Rivista, tale perlustrazione e le considerazioni critiche che l'accompagnano hanno un taglio prevalentemente divulgativo, senza sacrificio dell'originalità dell'approccio né della qualità dei contributi, come il lettore avrà modo di constatare.

Margherita Daverio ci guida ad esplorare le strette - anche se non sempre manifeste o intuitive - connessioni tra l'etica e la politica del bios umano, minacciate in modo crescente da quella che Hans Jonas ha chiamato "civiltà tecnologica", ma anche ormai a profondo disagio nelle maglie anguste delle tematizzazioni tradizionali, e tanto più bisognose quindi di nuove semantiche. Il sorprendente rovesciamento "pubblicistico" del principio di autodeterminazione inizialmente presentato come la difesa più energica dell'individuo dalle ingerenze esterne, oltre che nel successivo contributo a mia firma sul rapporto tra autodeterminazione e privacy viene approfondito dalle riflessioni di Marta Albert sull'evoluzione della relazione clinica verso forme conturbanti di spossessamento dell'io.

Il mio contributo, infatti, tenta di meditare il legame tra l'autodeterminazione ed un diritto soggettivo di importazione e di crescente rilievo nella regolazione del bios umano, come il right to privacy, ponendo in evidenza le incongruenze che il paradigma libertario produce nel contesto delle relazioni intersoggettive (specialmente, va da sé, in quelle inerenti la vita umana). Il saggio di Marta Albert, in una prospettiva di comparazione tra due sistemi giuridici e culturali profondamente imparentati come quello spagnolo e quello italiano, ci aiuta a riflettere sull'ambiguità, per non dire sulla fallacia, della contrapposizione tra autonomia del paziente ed autonomia dell'operatore sanitario, artificialmente eretta ad ostacolo del dialogo di cura e fonte di innumerevoli, crescenti e gravi problemi nell'autocomprensione della classe medica e nella capacità di ognuno di noi di collocarsi in modo adeguato nella difficile (ma strutturale, si direbbe costitutiva dell'umano) posizione di paziente. Ne emerge un quadro inquietante perché, novella Gorgone, una volta smascherata l'autodeterminazione mostra il volto temibile del governo sul corpo: esito ultimo, verrebbe da pensare, del permanente dualismo antropologico ereditato dal pensiero moderno, di cui nemmeno la postmodernità è riuscita finora a liberarsi davvero.

Una sezione apposita si è voluto in questo numero riservare all'autodeterminazione in relazione ad un ambito sempre più tecno-sollecitato dell'esperienza umana, quello della generazione: ed in seno ad esso, in modo particolare, alla maternità. Le riflessioni, antropologiche, bioetiche e biogiuridiche, di Ilaria Malagrinò e di Vicente Bellver (che pure parla dall'esperienza parallela che va maturando in Spagna, fornendoci anch'egli preziosi elementi comparativi), aiutano il lettore a concentrare l'attenzione sui delicatissimi problemi sollevati dalle pratiche riproduttive biotecnologiche, in cui soprattutto l'esperienza della maternità viene manipolata ed artificializzata, dando luogo a colossali, ma ahimè finora poco meditate, ripercussioni simboliche. Anche da queste analisi emergono importanti indicazioni critiche relativamente all'assolutizzazione dell'autodeterminazione (in questo caso, riproduttiva) come totem socioculturale, e vengono smascherati altri paradossi ed incongruenze.

Maria Giulia Bernardini, infine, ci propone alcune riflessioni sulle persone disabili, frontiera teoretica e pratica dell'esperienza umana che sollecita l'antropologia e l'etica dell'autodeterminazione con tale forza da obbligarci non solo a prendere sul serio la loro situazione di speciale vulnerabilità, ma anche a comprendere che solo privando di rilevanza totemica l'autodeterminazione medesima, e riconsegnandola al suo statuto proprio all'interno di una integrata ed onesta, ma soprattutto più realista visione dell'essere umano, potremmo restituirle la sua efficacia euristica e la sua vigenza normativa propria, senza fare torto all'essere umano stilizzato in una categoria così lontana dal vero da divenire alla fin fine irriconoscibile o, quel che è peggio, inospitale.

Gli autori hanno messo a disposizione le proprie specializzazioni e competenze con notevole disponibilità, sempre nell'attento rispetto delle tempistiche e delle altre esigenze editoriali. Siamo loro grati per questo, oltre che per l'elevata qualità dei contributi trasmessi: e riconoscenti alla Rivista per l'accoglienza riservata al nostro lavoro. Spetta ora al lettore, a parte ovviamente il giudizio sul volume, il compito di farne il miglior utilizzo possibile, vuoi che si tratti di ricavarne gli spunti di riflessione personale che numerosi da esso promanano, allo scopo di elaborarli e magari criticarli in proprio, vuoi che si tratti di verificarne le potenzialità applicative nel terreno della prassi sanitaria, a tutti i livelli.

Recenti provocazioni giurisprudenziali ed ora anche legislative (si pensi per tutte al corpus appena entrato in vigore, la legge 22 dicembre 2017, n. 219, recante "Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento"), rendono tale riflessione più che mai urgente ed importante, giacché ci mostrano come oggi l'attività sanitaria si svolge sul crinale di un cambio di paradigma: non si tratta più soltanto di mettere a fuoco il passaggio dal modello di medicina paternalistica a quello imperniato sull'autonomia (passaggio già abbondantemente compiutosi, anche se in forme diverse da quelle semplificate che la vulgata predilige, come del resto il legislatore mostra coi suoi affanni nel rincorrerne l'evoluzione), bensì di collocare anche la relazione di cura in una cornice culturale che rivendica all'autodeterminazione spazi crescenti di incidenza, tali da richiedere all'operatore sanitario ed all'interprete giuridico (da quello dottrinale sino al giudice) un'attenta opera di discernimento ed un impegno sempre più faticoso e necessario di chiarificazione circa il senso degli scopi e degli strumenti dell'arte e della scienza mediche.

Claudio Sartea

 

 

 

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