EDITORIALE L'ARCO DI GIANO n° 67 - 2011
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Mangiare fra natura e cultura
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Alcune malattie sono diventate il simbolo di un secolo o di un periodo della storia. La malaria come malattia fondamentale nell’antichità greca e nell’Impero romano. La lebbra e il tifo nel Medioevo. La peste e il Seicento. La tubercolosi e la sifilide che dominano la cultura dell’Ottocento. Il cancro e l’AIDS come le grandi paure del Novecento. In una qualche misura ciascuna di queste età è diventata impensabile senza quella malattia. La tubercolosi era una malattia soprattutto dei poveri. Ma i luoghi nei quali quella malattia veniva curata acquistarono una sorta di fascino quando nei sanatori si riunirono persone appartenenti alle fasce più alte della popolazione. In quei luoghi convivevano uomini e donne in qualche modo costretti a trascorrere molto tempo leggendo, scrivendo o conversando. La cultura personale si amplia, si affina l’intelligenza, si risvegliano sensazioni, sentimenti ed emozioni particolari, si instaurano rapporti che non sono possibili (o appaiono come “falsi”) nel mondo delle affaccendate persone sane. Si diffonde anche la tesi che una dose elevata di tossiemia tubercolare valga a stimolare le capacità e le prestazioni erotiche. La designazione di mal sottile non è solo una metafora. Novalis pensava che quel male sottile avesse la capacità di sublimare le esperienze della vita e consentisse di «capirla nella sua globalità». Per finire: nessuno si sognerebbe di qualificare un lazzaretto un luogo d’incanto e di magia, ma la montagna in cima alla quale è collocato un grande sanatorio poté essere percepita e vissuta come una montagna magica o incantata. |
di Paolo Rossi e Laura Dalla Ragione |