EDITORIALE L'ARCO DI GIANO n° 64 - 2010

           
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Dalla lotta alla malattia alla promozione della salute

N° 64 - estate 2010



La parola “salute” gode di una popolarità indiscussa: credo che la frequenza d’uso di questa parola si collochi ai vertici del panorama linguistico di ogni Paese. Rispetto a questo dato stupisce il ritardo della scienza ad occuparsi, in modo specifico e diretto, della salute come dimensione esplicitamente positiva. Mentre per oltre tre secoli lo sguardo delle scienze mediche si è rivolto con grande intensità e con progressivo successo a studiare e combattere la malattia, solo da pochi anni questo sguardo si è rivolto allo studio e alla promozione della salute. Con fredda obiettività occorre ammettere che questa parola, così coltivata e sfruttata sia nel linguaggio colto sia nel linguaggio popolare, è stata usata come un guscio privo di contenuto. Nella rappresentazione comune, dell’uomo della strada come dello scienziato, la salute si segnala per lo più come una semplice assenza: affermare che una persona è in salute significa semplicemente che non è malata.
L’attenzione è rivolta comunque alla malattia.
La famosa definizione ufficiale della salute non più come un’assenza ma come uno “stato di ben-essere fisico psichico e sociale”, (OMS, 1948) ha mobilitato l’interesse e l’impegno delle varie discipline, ma lo studio del ben-essere è ben lungi da raggiungere livelli paragonabili alla quantità di ricerche e di energie applicative profuse nel versante della malattia. Per quanto riguarda la psicologia si può rilevare un sensibile movimento in questa direzione, segnalato fra l’altro dalla costituzione di una nuova disciplina, la “psicologia della salute”, affermatasi negli Stati Uniti nell’ultimo quarto del secolo scorso e diffusasi ampiamente in Europa e anche in Italia. Diverso mi sembra il cammino delle scienze più strettamente biomediche, dove la doverosa attenzione alla lotta alle malattie ha lasciato poco spazio alle istanze della salute. Sarebbe facile dimostrare che ancora oggi la medicina fa fatica ad andare oltre la terapia per affrontare l’ambito della prevenzione; più difficile il passaggio alla promozione della salute, come lo dimostra il fatto che spesso la parola promozione viene associata alla parola prevenzione come se fossero due termini sinonimi, quando è ben noto che il concetto di prevenzione è tutto interno “al modello malattia” e non al “modello salute”. In realtà il concetto di promozione della salute è ampiamente declamato; tuttavia c’è un’evidente discordanza fra l’enfasi posta su questo tema e la scarsezza di riflessione teorica e d’impegno applicativo, sia nel panorama internazionale sia nei confini più limitati del nostro Paese. Proprio su questo tema, come noto, l’OMS ha promosso una serie di Conferenze Internazionali, a partire da quella più famosa di Ottawa (1986), dove si prospettava un concetto veramente innovativo. “La promozione della salute –si legge nella Carta di Ottawa- è il processo che mette in grado le persone di aumentare il controllo sulla propria salute e di migliorarla. Per raggiungere uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, un individuo o un gruppo deve essere capace di identificare e realizzare le proprie aspirazioni, di soddisfare i propri bisogni, di cambiare l’ambiente circostante o di farvi fronte. La salute è quindi vista come una risorsa per la vita quotidiana e non come il fine della vita. La salute è un concetto positivo che valorizza le risorse personali e sociali, come pure le capacità fisiche. Quindi la promozione della salute non è una responsabilità esclusiva del settore sanitario, ma va al di là degli stili di vita e punta al benessere.” Questa definizione veniva confermata e ampiamente argomentata nelle conferenze che, con continuità apprezzabile d’impegno, hanno fatto seguito alla conferenza di Ottawa1: Nelle tre ultime conferenze si è discusso meno sugli aspetti teorici e metodologici mentre l’accento si è rivolto ai problemi di sviluppo della promozione della salute nelle varie nazioni e in particolare in quelle dei Paesi più disagiati. è evidente in queste ultime conferenze la registrazione di un forte gap fra le intenzioni espresse da Ottawa in poi, e la scarsa applicazione delle raccomandazioni sul piano pratico. Nella parte finale delle dichiarazioni di Bangkok si può leggere quanto segue: “Dall’adozione della Carta di Ottawa, a livello nazionale e globale, è stato prodotto un numero significativo di risoluzioni a sostegno della promozione della salute, ma queste non sempre sono state seguite. I partecipanti di questa conferenza di Bangkok richiamano con forza gli Stati Membri dell’Organizzazione Mondiale della Sanità a superare questo gap e a muoversi verso la realizzazione effettiva di politiche e di partnership.”
Anche nel nostro Paese l’obiettivo della promozione della salute viene sistematicamente richiamato dagli organismi istituzionali. Sarebbe sufficiente dare uno sguardo ai vari piani sanitari nazionali e regionali per capire la distanza fra gli enunciati e le pratiche applicative. Per dare un segno ancora più incisivo, preferisco sottolineare l’accentuazione d’interesse al tema della promozione che si è manifestato nella fase di passaggio dal “Ministero della Sanità” al “Ministero della salute”. Al riguardo riporto alcuni brani della relazione sullo Stato Sanitario del Paese, del 2000.2 “……Nell’introdurre la Relazione del 1999 avevamo formulato l’obiettivo di orientare ed estendere il sistema degli indicatori per la descrizione dello stato sanitario della popolazione riferendoci al concetto di salute nel suo senso globale, alla strategia del patto di solidarietà per la promozione della salute e al carattere non statico ma di processo delle risposte ai bisogni di salute. Il ministro Umberto Veronesi ha esercitato, lungo tutto l’anno 2000, uno stimolo costante e innovativo perché questo obiettivo fosse raggiunto. In particolare, è stato progettato il percorso “dalla sanità alla salute” che era stato individuato dalla Relazione del 1999 quale logica e naturale conseguenza degli obiettivi del Piano sanitario 1998-2000 tutti orientati alla promozione della salute. Nella stessa presentazione della relazione 1999, Umberto Veronesi aveva sottolineato l’esigenza di passare dal “welfare state”al “welfare community”, da uno stato, cioè, che al vertice della piramide distribuisce assistenza e benessere a una comunità intera che assume in prima persona la responsabilità del proprio ‘ben d’essere’. La promozione della salute è dunque un obiettivo che può essere raggiunto solo attra-verso il coinvolgimento di tutta la comunità e il passaggio “dalla sanità alla salute” può essere simbolicamente indicato come passaggio da una sanità, concepita come problema individuale, che riguarda soprattutto la singola persona di fronte all’evento malattia, alla salute come obiettivo dell’insieme dei cittadini, di una comunità che vuole prendere in mano il proprio destino e che si organizza in modo da garantire a ogni cittadino l’espressione piena delle proprie potenzialità fisiche, psichiche e sociali….. L’attualità e l’importanza di questo cambiamento vengono del resto confermate dal nuovo Piano 2001-2003 che, non a caso, si intitola proprio ‘dalla sanità alla salute’. È questo un cambiamento culturale ormai radicato, che richiede però tempi lunghi di realizzazione…. Si tratta, inoltre, di approntare nuovi strumenti di misurazione della qualità dei servizi, nuovi indicatori di salute che comprendono la valutazione dei determinanti non sanitari, dati conoscitivi in grado di misurare gli stili di vita, i modelli di comportamento, le capacità dei diversi soggetti d’integrare le proprie risorse e perseguire congiuntamente obiettivi di promozione della salute…… Occorrono tempi, comunque, necessariamente lunghi per apprezzare gli effetti di un cambiamento così profondo nella cultura sanitaria del Paese; difficoltà di individuazione di nuovi indicatori di salute e di misurazione dei processi complessi che attengono alla promozione della salute; esigenza di una crescita collettiva di tutti gli attori che compongono la comunità per modificare metodologie di lavoro e strategie di intervento che permettano un passaggio al “welfare community”….. Se salute vuol dire benessere fisico, psichico e sociale, promuovere la salute non può non significare incidere profondamente sul nostro sistema di welfare. Non può sfuggirci, allora, l’importanza fondamentale e insostituibile che assumono le azioni delle persone,dei gruppi sociali e delle generazioni nel raggiungimento dell’obiettivo di una migliore qualità di vita; una qualità di vita che non solo ci tuteli dai rischi di malattia,ma che permetta una piena valorizzazione di tutte le nostre risorse,da quelle fisi-che a quelle psicologiche, sociali e ambientali. Questo significa che per promuovere un nuovo stato sociale dobbiamo partire dai cittadini e sostenerli nell’attuazione di processi e percorsi responsabili di promozione demaggior “ben d’essere”. Un compito nuovo per le istituzioni che devono trarre dalla potenzialità e dalla domanda di protagonismo della società civile la propria futura vocazione. Istituzioni «materne» che siano in grado di cogliere le nuove potenzialità della società civile, le orientino positivamente in direzione di un maggior “ben d’essere”, restituendo così alla nostra società una vocazione comunitaria, fondata sui valori dell’uguaglianza e della solidarietà sociale.” Come si vede sia sul piano internazionale, sia sul piano nazionale, la tensione verso la costruzione o promozione della salute è palesemente evidente. Tuttavia rimane aperto il campo delle incertezze sul piano teorico e applicativo e l’insufficiente presa del tema: da una parte cioè la consistente tenacia, specialmente da parte delle Organizzazioni Mondiali della Sanità, nel sostenere l’importanza della promozione della salute (per il futuro dell’umanità), dall’altra la difficoltà e la lentezza con cui i vari Paesi sono riusciti a tradurre in pratica le raccomandazioni via via presentate nei vari documenti. Quale spiegazione si può dare? Una prima considerazione indurrebbe ad attribuire la colpa alle resistenze e negligenze delle amministrazioni locali, per le ovvie difficoltà di ordine economico. Questo è sicuramente un fattore importante, ma non è certo una spiegazione sufficiente. Anche se la disposizione dei vari Paesi fosse ottimale, resta un problema: quello del distacco fra il piano nobile degli enunciati e l’insufficiente preparazione del terreno scientifico chiamato a svilupparli. Senza un quadro di chiarezza scientifica specifico della promozione, entro e tra le varie discipline, sarà difficile trovare le motivazioni adatte a maturare credibilità e consenso nella cultura più ampia e, conseguentemente, negli organi politico-amministrativi.
La “nebulosa” della promozione della salute

Intorno al concetto apparentemente chiaro di promozione della salute, si differenziano punti di vista, posizioni di principio diverse sia all’interno delle singole discipline come fra le discipline che concorrono nel comune obiettivo di promuovere salute. L’allargamento al sociale, anziché arricchire il cammino, rischia talvolta di imbrigliare l’argomentazione scientifica in vicoli di sapore ideologico. La discussione sugli stessi aspetti definitori ha raggiunto talvolta livelli di confusione che rivelano una mancanza di chiarezza sui fondamenti del concetto stesso di salute.
Un anno prima della Conferenza di Ottawa, Ilona Kickbush si chiedeva: “Cos’è la promozione della salute? è un concetto? è un principio? è una prospettiva ? è una strategia? è un fine? è una politica? è un movimento? è una forza sociale? “ E concludeva in un modo abbastanza sconfortante: “…. la maggior parte degli autori che hanno tentato di definire la promozione della salute sono rimasti nel vago quando si è trattato di dare applicazione a questo termine… La promozione della salute è diventata una parola simbolica per coloro che asseriscono di voler fare qualcosa di diverso da ciò che è stato fatto finora in educazione sanitaria.”
Più o meno negli stessi anni, in un interessante articolo di Green e collaboratori, si trova la seguente affermazione: “La letteratura sul tema della promozione della salute rivela un numero di definizioni quasi grande quanto il numero delle persone che scrivono sullo stesso tema….” In linea generale mi sembra importante mettere in rilievo che a partire da Ottawa si sia come innescato un processo di cambiamento nel mondo della sanità del tutto prevedibile e coerente rispetto alla nuova definizione di salute. Tuttavia, la prospettiva della “promozione della salute” sorta nel quadro del modello biopsicosociale e in un momento storico particolare, produce almeno due conseguenze la cui ambiguità richiede un approfondimento di attenzione e una via per fare maggiore chiarezza.
La prima fonte di ambiguità deriva proprio dall’apertura sistemica implicita nella definizione della salute. La seconda ambiguità riguarda l’oscillazione fra modello malattia e modello salute. Questi due fattori di ambiguità, destinati ad alimentarsi a vicenda, richiedono un contributo di chiarificazione.

Specificità teorico-metodologica delle varie componenti bio-psico-sociali che concorrono alla promozione della salute

Nell’andare oltre il dominio tradizionale delle scienze medico-igienistiche, si è aperto un naturale ventaglio di interessi da parte delle scienze psicosociali e del mondo socio-politico. Questo allargamento, di per sé positivo, ha creato una sorta di mescolamento critico fra i piani della scienza e le istanze del sociale. Occorre inoltre ricordare che il concetto di promozione della salute è nato in un momento storico particolare caratterizzato da forti pulsioni di “de-medicalizazione”. Il processo di crescita della promozione della salute non lievita sulla base di un chiaro confronto di idee sul piano scientifico-culturale, ma rischia di essere contaminato da presupposti, non dichiarati, di natura ideologica. Così, l’entrata in scena – del tutto giustificata- della società, nel complesso articolato di cittadini, istituzioni e politici, può creare nei medici la sensazione di essere scavalcati rispetto ad un tema – la salute – da sempre considerato come di loro stretta pertinenza. Per chiarire questo aspetto mi riferisco ancora alla Kickbush, che negli anni 80, sotto l’influenza del pensiero di Foucault, affermava: “Se noi diciamo che la promozione della salute è un processo sociale e non un’impresa medica, ciò implica la demedicalizzazione della salute. Io dico esplicitamente demedicalizzazione della salute, perché questo è uno dei dilemmi di fondo nella promozione della salute che indirettamente espande il modello medico facendo della salute l’ultima malattia”. Mentre sono d’accordo che la medicina ha troppo accentuato il suo interesse sul versante malattia, non concordo con la prima parte di questa affermazione, (“la salute è un processo sociale e non un’impresa medica”) che, probabilmente, risente troppo degli anni dei movimenti contestativi. Non si può ovviamente riservare l’ambito della promozione della salute alle scienze psico-sociali e alla società civile, e riservare alla medicina l’ambito della terapia, sottraendole il diritto-dovere di assumere le sue specifiche responsabilità nel panorama della salutogenesi. Io credo che il compito di promuovere salute sia un impegno comune alle scienze mediche, alle scienze psicosociali,e alle componenti socio-politiche, a condizione tuttavia che sia rispettata la diversa specificità e responsabilità degli approcci che contraddistingue le varie componenti. Così, chi intende fare promozione a livello di strutture biologiche non può far riferimento a costrutti teorici e a strategie metodologiche uguali a quelle di chi opera a livello di dimensioni psicologiche o sociali o antropologiche ecc. Naturalmente ci possono essere momenti o aree di vicinanza; in linea di principio, tuttavia, la specificità delle discipline è la garanzia primaria di un loro necessario processo di integrazione. Sulla base di queste specificità aperte all’integrazione disciplinare, è possibile che si realizzi un altrettanto specifico rapporto di collaborazione con le istanze che si muovono nelle varie sedi del sociale e che trovano la loro espressione a livello della componente politico-amministrativa.

Specificità (intrinseca) del metodo “promozione”, rispetto al metodo “terapia” e “prevenzione”.

Più delicato e complesso il tema delle caratteristiche specifiche del modello salute. Dimostrare coerenza nel passaggio dalla teoria all’applicazione, utilizzando le caratteristiche fondamentali del metodo della promozione, è un problema critico per tutte le componenti, ognuna nel proprio specifico campo d’azione. In questo senso, tutte le iniziative applicative (sia sul piano psicologico, sia sul piano fisico, sia sul piano sociale) dovrebbero avere l’obiettivo, comune e preciso, non di rimuovere o prevenire il mal-essere, ma di promuovere il ben-essere (oppure:la qualità della vita). Di fronte a questo compito tutte le componenti sono più o meno impreparate. Non si può fare a meno di rilevare, come l’influenza medica abbia reso pervasivo l’orientamento al modello malattia anche fra le scienze psicosociali: ne è prova la stessa confusione che spesso si fa, in ambito sanitario, tra l’uso del termine promozione e quello del termine prevenzione. Talvolta, pur facendo prevenzione, si giustifica l’uso della parola promozione per il semplice fatto che prevenire le malattie significa promuovere la salute: questa affermazione, di senso comune, contiene una verità ed insieme un errore. Una verità perché prevenire può certamente lasciare spazio ad un progresso di salute (benessere); un errore, perché di per sé non lo garantisce, ma, soprattutto perché l’operazione di prevenzione caratterizza in un modo del tutto diverso da quello proprio di promozione. Nella prevenzione l’orientamento tende alla sicurezza, all’incolumità, alla responsabilità, al dovere, e l’inclinazione strategica si caratterizza per la cautela, la prudenza ad evitare problemi, con l’obiettivo di vigilare ed eliminare tutto ciò che può determinare una condizione di malessere: la componente emotivo-motivazionale di fondo è la paura. Al contrario, nelle operazioni di promozione l’orientamento è guidato dal desiderio di sviluppo, di realizzazione del proprio sé, e l’inclinazione strategica è l’adattamento ad affrontare le sfide con un orizzonte tracciato nella linea della qualità della vita: la componente emotivo-motivazionale di fondo è la speranza.
Quanto si richiede, in conclusione, è la condivisione da parte delle varie discipline del passaggio critico dal concetto di terapia/prevenzione al concetto di promozione.Mentre nel “modello malattia” è ampiamente consolidato il concetto di terapia come metodo specificamente appropriato per il passaggio dalla teoria all’applicazione, nel “modello salute”, siamo ancora lontani dal declinare il concetto di promozione come metodo specifico nel passaggio dalla teoria all’applicazione. Per quanto riguarda la psicologia della salute, pur non senza difficoltà, questo tema è al centro dell’attenzione, con un significativo impegno nello studio delle componenti strutturali (tassonomia) e dinamiche (salutogenesi) del modello salute.

Obiettivi del presente Dossier

Entro questo vasto e impegnativo panorama, l’obiettivo del presente dossier è alquanto limitato. Senza alcuna pretesa di sistematicità, i contributi che seguono sono esempi di studi e di riflessioni riconducibili al tema della promozione della salute nel campo della psicologia. Alcuni di questi contributi sono più orientati a riflessioni di carattere teorico e altri più mirati ad offrire esempi di ricerca sul piano applicativo. Una lettura d’insieme di questi spunti potrà dare al lettore solo il senso di una direzione all’interno di un panorama molto più complesso e articolato.
Orientato a livello teorico, il contributo originale di Guerra si apre ad una nuova lettura del tema “patologia-normalità”, facendo leva in particolare sul concetto moderno di adattamento. Il riferimento principale va ad un eminente epistemologo, Georges Canguilhem, maestro, fra l’altro, di Foucault. Giovanni Guerra ha il merito di essere stato fra i primi a richiamare l’attenzione degli psicologi sul pensiero stimolante di Canguilhem, il cui punto di vista appare particolarmente utile allo sviluppo del concetto di promozione della salute. Per quanto la medicina sia giustamente radicata nel versante della malattia e della sua prevenzione, Guerra invita a riflettere come i lineamenti della salute positiva “siano comunque presenti nell’impianto concettuale della medicina moderna occidentale”.
Mentre Guerra invita a riconoscere le sorgenti del paradigma salute come inerenti all’impianto concettuale della medicina moderna, il contributo dell’antropologo Petrangeli, non privo di provocazioni, individua l’emergenza del paradigma salute proprio nelle pieghe di fallimento della medicina troppo centrata nel paradigma di lotta alla malattia. Facendo leva anche sul pensiero degli antropologi della Scuola Medica della Harvard e sulla classica distinzione fra disease, illness e sickness, le argomentazioni di Petrangeli nel merito della salute-malattia vanno oltre le determinanti individuali per focalizzare l’attenzione sulle responsabilità istituzionali. In questa cornice di riflessioni, si toccano temi di grande attualità. In particolare, il riferimento al tema della “sofferenza strutturale” ci porta a riflettere sulle insistite carenze di politiche nel sociale, nonostante le esortazioni degli organismi internazionali della salute. Vorrei citare a titolo di esempio le iniziative del progetto “Salute in Tutte le Politiche”, da tempo avviato nell’Unione Europea e promosso anche dal Ministero Italiano della Salute7, dove si sostiene in modo convincente che ogni politica, ogni decreto legislativo, prima di essere approvato dovrebbe misurarsi con le conseguenze negative che ne potrebbero derivare per la salute: purtroppo le varie “declarations” sono perlopiù trascurate dai vari Paesi cui sono rivolte.
Il passaggio dal versante della lotta alla malattia al versante della promozione della salute, pone non solo un problema di metodo, dove si rileva il limite delle procedure quantitative, ma anche la necessità di aprirsi alle nuove istanze etiche e socio politiche della postmodernità. Partendo dall’intrigante immagine metaforica della “transurbanza” la riflessione di Braibanti invita a “riportare la questione della salute lungo alcuni dei confini più complessi del nuovo millennio, quello della società della cura, delle differenze di genere, dell’ospedale e del carcere, delle nuove tecnologie, delle grandi migrazioni, dell’emancipazione dei popoli e così via.” Braibanti cerca di attraversare questi spazi sollevando scenari perturbanti di cambiamento; il suo apparente “vagabondare” lungo i margini della città si muove in realtà proponendo esperienze di ricerca lungo linee di teoria e di metodo strettamente coerenti con il modello salute. Il contributo di Delle Fave, offre alcuni spunti di riflessione all’interno della “Positive Psychology”, un movimento di idee e di ricerche che si è affermato negli Stati Uniti nell’ultima decade del secolo scorso con il preciso intento di prestare attenzione alle risorse anziché ai deficit della persona e della società. L’effervescenza e il vigore con cui questo movimento si è rapidamente affermato, lo dimostra la mole di pubblicazioni, di congressi, di strutture associative che in rapida successione sono comparse sulla scena internazionale. Questo movimento, la cui leadership è generalmente attribuita a Martin Seligman, ha dato una spinta significativa al cambiamento di paradigma, che a noi sta a cuore. Delle Fave, autorevole protagonista in Italia della Psicologia Positiva, si sofferma in particolare intorno ad alcune ricerche che fanno capo alla cosiddetta “esperienza ottimale”, una dimensione positiva di salute che viene studiata sia nel contesto della sanità, sia nel contesto transculturale.
Il concetto di “promozione” di solito trova appropriati spazi di applicazione nei contesti tradizionali più ampi, come la scuola, il mondo del lavoro, i contesti urbani ecc. Un problema tuttavia si pone quando lo stesso orientamento di promozione lo si deve attuare in interventi a livello individuale, quando cioè entriamo nel dominio prestigioso della psicoterapia. Il termine psicoterapia, e il suo forte radicamento nella tradizione medica, implica infatti la presenza di qualche forma di malattia, con l’obiettivo esplicito di eliminarla restituendo all’organismo la sua integrità. Il contributo di Ruini e Fava indica la possibilità di utilizzare l’ approccio specifico di promozione anche a livello individuale. Le ricerche di Fava e del suo gruppo, comparse in riviste di rilievo internazionale, aiutano a capire come sia possibile ottenere dei significativi risultati utilizzando un approccio orientato alla promozione delle dimensioni positive del benessere. C’è da domandarsi tuttavia, come possa conciliarsi il concetto di pro-muovere il ben-essere con quello di ri-muovere il malessere implicito nella dizione “wellbeing-therapy”. Al riguardo non posso non sottolineare, come ho fatto altre volte, l’incongruenza del linguaggio ancora saldamente appoggiato al modello malattia. E’ del tutto improprio infatti usare la parola così pregnante come “psico-terapia”, anche se non sarà facile abbandonarla. Con quale parola sostituirla? La più coerente potrebbe essere “psico-promozione”, certamente non altrettanto convincente dal punto di vista del marketing professionale…
In ambito sanitario un tema universalmente riconosciuto è quello degli stili di vita; lo ha reso evidente il forte cambiamento nella natura dei problemi di salute nelle società industrializzate. Fattori comportamentali, come il fumo la dieta, l’attività fisica, lo stress, assumono oggi un ruolo di particolare importanza nell’andamento delle maggiori cause di morte. Ne consegue l’impegno primario degli psicologi per conseguire risultati molto più concreti di quelli che tuttora si ottengono sulla base delle semplici raccomandazioni o prescrizioni da parte dei medici. Il contributo di Steca e Greco si muove in questa direzione focalizzando in particolare l’importanza di promuovere una dimensione psicologica, la “self-efficacy” (percezione di autoefficacia) ampiamente studiata e valorizzata dai lavori classici di Bandura, uno degli psicologi più citati in assoluto nella letteratura psicologica internazionale. In particolare, Steca e Greco presentano risultati convincenti dall’uso di queste metodologie nella riabilitazione di soggetti affetti da diverse forme di patologia cardiaca.
Il concetto di promozione certamente si estende a tutta la popolazione proprio per la sua propensione alla promozione delle risorse di qualunque tipo o livello. In questo senso l’approccio della promozione può essere fruttuosamente utilizzato anche per soggetti in cui prevale la dimensione patologica. Il contributo di Ferri e Ricci, mette in evidenza l’utilità di un approccio coerente con la psicologia della salute in un ambito di grande attualità come quello della disabilità.
Un commento infine sul contributo di Solano e collaboratori. Nell’ambito della visione sistemica biopsicosociale, universalmente accettata, sembra oggi difficile ritenere che il cliente-paziente possa ricevere risposte adeguate alla complessità dei problemi che coinvolgono psiche e soma, in assenza di un rapporto metodologicamente appropriato fra l’espertise medica e quella psicologica. La separazione delle conoscenze soprattutto quando, a livello di base, la domanda viene gestita esclusivamente dal medico, costituisce un elemento di grande inefficienza del sistema sanitario, di cui pochissimo ancora oggi si parla. Solano discute questo problema presentando una serie di sperimentazioni effettuate con un approccio metodologico del tutto innovativo dove il medico di base viene affiancato da uno psicologo della salute. Il consenso ottenuto, pari tuttavia alla difficoltà di estenderlo, merita l’approfondimento di una riflessione a tutto campo, sia nell’ambito medico come nell’ambito psicologico. Vorrei aggiungere che la difficoltà dell’affermazione di questo approccio non risiede nel fattore economico ma deriva proprio dalla riduzione del tutto probabile dell’eccesso di medicalizzazione che esso comporta; riduzione gradita dal cliente ma certamente non gradita dall’industria tecnico-farmacologica: molti esami diagnostici e molti interventi terapeutici, sia di natura medica sia di natura psicologica, sarebbero proficuamente eliminati a tutto vantaggio del cliente e dell’erario. Importante sottolineare che la funzione primaria dello psicologo della salute, proprio per la sua specificità, è quella di aiutare il cliente a gestire la crisi e non di intervenire in senso terapeutico. Già diversi anni fa (vedi Bertini, 1988) gli organismi internazionali della salute sollecitavano questa tematica. Come sosteneva Diekstra (1988) dal punto di osservazione privilegiato della Divisione di Salute Mentale dell’OMS, “l’enfasi sulla cura della salute a livello primario, implicita nel programma Salute per tutti negli anni 2000 , dovrebbe convincere ad assicurare una presenza molto più strutturata di psicologi a fianco dei medici e degli altri operatori che agiscono nel primo fronte dei servizi di salute.” è a livello primario della cura della salute che si può prevedere una sfida significativa per la psicologia nella prossima decade.
A margine di questa introduzione, vorrei segnalare un intervento del Premio Nobel Montagnier alla trasmissione TV  di Fabio Fazio “Che tempo che fà”, per il rilievo che i concetti da lui espressi al riguardo. Mi riferisco al cambiamento auspicato, e da lui stesso definito  “rivoluzionario”, dalla lotta alla malattia, alla prevenzione della malattia. Citando anche il contributo di Veronesi, in questa trasmissione indicava il nostro Paese come potenzialmente all’avanguardia nel favorire questo passaggio. Questi due scienziati hanno più volte, e in diversi contesti, sottolineato l’importanza di orientare le migliori risorse ed energie motivazionali ad occuparsi dei processi a monte della malattia e non semplicemente a valle, quando cioè le malattie stanno ormai facendo il loro corso. “Il futuro della medicina –diceva Montagnier- sta proprio in questa svolta”. Tutta la discussione fin qui condotta ha fatto riferimento specifico al concetto di promozione, sottolineando la dovuta distinzione fra il concetto di promozione e il concetto di prevenzione. Questo non significa ovviamente un abbandono della prevenzione: al contrario, la prevenzione è di massima importanza non solo per la medicina ma anche per la psicologia.  Il processo di “prevenire” riguarda, infatti, non solo procedure strettamente mediche concentrate sul corpo ma coinvolge, come viene oggi universalmente riconosciuto, la mente e il comportamento, cioè aspetti di specifica pertinenza psicologica. La psicologia della salute, a partire dall’ultimo quarto del secolo scorso, sta facendo passi notevoli per rendersi disponibile ad operazioni scientifico-applicative nel campo della prevenzione. In questa direzione si richiede agli psicologi della salute un’accelerazione d’impegno nel dimostrare la loro competenza e la loro determinazione ad offrire un contributo atteso ma ancora poco riconosciuto.

di Mario Bertini

 

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