EDITORIALE L'ARCO DI GIANO n° 64 - 2010
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Dalla lotta alla malattia alla promozione della salute N° 64 - estate 2010 |
La parola “salute” gode di una popolarità indiscussa: credo che la frequenza d’uso di questa parola si collochi ai vertici del panorama linguistico di ogni Paese. Rispetto a questo dato stupisce il ritardo della scienza ad occuparsi, in modo specifico e diretto, della salute come dimensione esplicitamente positiva. Mentre per oltre tre secoli lo sguardo delle scienze mediche si è rivolto con grande intensità e con progressivo successo a studiare e combattere la malattia, solo da pochi anni questo sguardo si è rivolto allo studio e alla promozione della salute. Con fredda obiettività occorre ammettere che questa parola, così coltivata e sfruttata sia nel linguaggio colto sia nel linguaggio popolare, è stata usata come un guscio privo di contenuto. Nella rappresentazione comune, dell’uomo della strada come dello scienziato, la salute si segnala per lo più come una semplice assenza: affermare che una persona è in salute significa semplicemente che non è malata.
L’attenzione è rivolta comunque alla malattia. La famosa definizione ufficiale della salute non più come un’assenza ma come uno “stato di ben-essere fisico psichico e sociale”, (OMS, 1948) ha mobilitato l’interesse e l’impegno delle varie discipline, ma lo studio del ben-essere è ben lungi da raggiungere livelli paragonabili alla quantità di ricerche e di energie applicative profuse nel versante della malattia. Per quanto riguarda la psicologia si può rilevare un sensibile movimento in questa direzione, segnalato fra l’altro dalla costituzione di una nuova disciplina, la “psicologia della salute”, affermatasi negli Stati Uniti nell’ultimo quarto del secolo scorso e diffusasi ampiamente in Europa e anche in Italia. Diverso mi sembra il cammino delle scienze più strettamente biomediche, dove la doverosa attenzione alla lotta alle malattie ha lasciato poco spazio alle istanze della salute. Sarebbe facile dimostrare che ancora oggi la medicina fa fatica ad andare oltre la terapia per affrontare l’ambito della prevenzione; più difficile il passaggio alla promozione della salute, come lo dimostra il fatto che spesso la parola promozione viene associata alla parola prevenzione come se fossero due termini sinonimi, quando è ben noto che il concetto di prevenzione è tutto interno “al modello malattia” e non al “modello salute”. In realtà il concetto di promozione della salute è ampiamente declamato; tuttavia c’è un’evidente discordanza fra l’enfasi posta su questo tema e la scarsezza di riflessione teorica e d’impegno applicativo, sia nel panorama internazionale sia nei confini più limitati del nostro Paese. Proprio su questo tema, come noto, l’OMS ha promosso una serie di Conferenze Internazionali, a partire da quella più famosa di Ottawa (1986), dove si prospettava un concetto veramente innovativo. “La promozione della salute –si legge nella Carta di Ottawa- è il processo che mette in grado le persone di aumentare il controllo sulla propria salute e di migliorarla. Per raggiungere uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, un individuo o un gruppo deve essere capace di identificare e realizzare le proprie aspirazioni, di soddisfare i propri bisogni, di cambiare l’ambiente circostante o di farvi fronte. La salute è quindi vista come una risorsa per la vita quotidiana e non come il fine della vita. La salute è un concetto positivo che valorizza le risorse personali e sociali, come pure le capacità fisiche. Quindi la promozione della salute non è una responsabilità esclusiva del settore sanitario, ma va al di là degli stili di vita e punta al benessere.” Questa definizione veniva confermata e ampiamente argomentata nelle conferenze che, con continuità apprezzabile d’impegno, hanno fatto seguito alla conferenza di Ottawa1: Nelle tre ultime conferenze si è discusso meno sugli aspetti teorici e metodologici mentre l’accento si è rivolto ai problemi di sviluppo della promozione della salute nelle varie nazioni e in particolare in quelle dei Paesi più disagiati. è evidente in queste ultime conferenze la registrazione di un forte gap fra le intenzioni espresse da Ottawa in poi, e la scarsa applicazione delle raccomandazioni sul piano pratico. Nella parte finale delle dichiarazioni di Bangkok si può leggere quanto segue: “Dall’adozione della Carta di Ottawa, a livello nazionale e globale, è stato prodotto un numero significativo di risoluzioni a sostegno della promozione della salute, ma queste non sempre sono state seguite. I partecipanti di questa conferenza di Bangkok richiamano con forza gli Stati Membri dell’Organizzazione Mondiale della Sanità a superare questo gap e a muoversi verso la realizzazione effettiva di politiche e di partnership.” Anche nel nostro Paese l’obiettivo della promozione della salute viene sistematicamente richiamato dagli organismi istituzionali. Sarebbe sufficiente dare uno sguardo ai vari piani sanitari nazionali e regionali per capire la distanza fra gli enunciati e le pratiche applicative. Per dare un segno ancora più incisivo, preferisco sottolineare l’accentuazione d’interesse al tema della promozione che si è manifestato nella fase di passaggio dal “Ministero della Sanità” al “Ministero della salute”. Al riguardo riporto alcuni brani della relazione sullo Stato Sanitario del Paese, del 2000.2 “……Nell’introdurre la Relazione del 1999 avevamo formulato l’obiettivo di orientare ed estendere il sistema degli indicatori per la descrizione dello stato sanitario della popolazione riferendoci al concetto di salute nel suo senso globale, alla strategia del patto di solidarietà per la promozione della salute e al carattere non statico ma di processo delle risposte ai bisogni di salute. Il ministro Umberto Veronesi ha esercitato, lungo tutto l’anno 2000, uno stimolo costante e innovativo perché questo obiettivo fosse raggiunto. In particolare, è stato progettato il percorso “dalla sanità alla salute” che era stato individuato dalla Relazione del 1999 quale logica e naturale conseguenza degli obiettivi del Piano sanitario 1998-2000 tutti orientati alla promozione della salute. Nella stessa presentazione della relazione 1999, Umberto Veronesi aveva sottolineato l’esigenza di passare dal “welfare state”al “welfare community”, da uno stato, cioè, che al vertice della piramide distribuisce assistenza e benessere a una comunità intera che assume in prima persona la responsabilità del proprio ‘ben d’essere’. La promozione della salute è dunque un obiettivo che può essere raggiunto solo attra-verso il coinvolgimento di tutta la comunità e il passaggio “dalla sanità alla salute” può essere simbolicamente indicato come passaggio da una sanità, concepita come problema individuale, che riguarda soprattutto la singola persona di fronte all’evento malattia, alla salute come obiettivo dell’insieme dei cittadini, di una comunità che vuole prendere in mano il proprio destino e che si organizza in modo da garantire a ogni cittadino l’espressione piena delle proprie potenzialità fisiche, psichiche e sociali….. L’attualità e l’importanza di questo cambiamento vengono del resto confermate dal nuovo Piano 2001-2003 che, non a caso, si intitola proprio ‘dalla sanità alla salute’. È questo un cambiamento culturale ormai radicato, che richiede però tempi lunghi di realizzazione…. Si tratta, inoltre, di approntare nuovi strumenti di misurazione della qualità dei servizi, nuovi indicatori di salute che comprendono la valutazione dei determinanti non sanitari, dati conoscitivi in grado di misurare gli stili di vita, i modelli di comportamento, le capacità dei diversi soggetti d’integrare le proprie risorse e perseguire congiuntamente obiettivi di promozione della salute…… Occorrono tempi, comunque, necessariamente lunghi per apprezzare gli effetti di un cambiamento così profondo nella cultura sanitaria del Paese; difficoltà di individuazione di nuovi indicatori di salute e di misurazione dei processi complessi che attengono alla promozione della salute; esigenza di una crescita collettiva di tutti gli attori che compongono la comunità per modificare metodologie di lavoro e strategie di intervento che permettano un passaggio al “welfare community”….. Se salute vuol dire benessere fisico, psichico e sociale, promuovere la salute non può non significare incidere profondamente sul nostro sistema di welfare. Non può sfuggirci, allora, l’importanza fondamentale e insostituibile che assumono le azioni delle persone,dei gruppi sociali e delle generazioni nel raggiungimento dell’obiettivo di una migliore qualità di vita; una qualità di vita che non solo ci tuteli dai rischi di malattia,ma che permetta una piena valorizzazione di tutte le nostre risorse,da quelle fisi-che a quelle psicologiche, sociali e ambientali. Questo significa che per promuovere un nuovo stato sociale dobbiamo partire dai cittadini e sostenerli nell’attuazione di processi e percorsi responsabili di promozione demaggior “ben d’essere”. Un compito nuovo per le istituzioni che devono trarre dalla potenzialità e dalla domanda di protagonismo della società civile la propria futura vocazione. Istituzioni «materne» che siano in grado di cogliere le nuove potenzialità della società civile, le orientino positivamente in direzione di un maggior “ben d’essere”, restituendo così alla nostra società una vocazione comunitaria, fondata sui valori dell’uguaglianza e della solidarietà sociale.” Come si vede sia sul piano internazionale, sia sul piano nazionale, la tensione verso la costruzione o promozione della salute è palesemente evidente. Tuttavia rimane aperto il campo delle incertezze sul piano teorico e applicativo e l’insufficiente presa del tema: da una parte cioè la consistente tenacia, specialmente da parte delle Organizzazioni Mondiali della Sanità, nel sostenere l’importanza della promozione della salute (per il futuro dell’umanità), dall’altra la difficoltà e la lentezza con cui i vari Paesi sono riusciti a tradurre in pratica le raccomandazioni via via presentate nei vari documenti. Quale spiegazione si può dare? Una prima considerazione indurrebbe ad attribuire la colpa alle resistenze e negligenze delle amministrazioni locali, per le ovvie difficoltà di ordine economico. Questo è sicuramente un fattore importante, ma non è certo una spiegazione sufficiente. Anche se la disposizione dei vari Paesi fosse ottimale, resta un problema: quello del distacco fra il piano nobile degli enunciati e l’insufficiente preparazione del terreno scientifico chiamato a svilupparli. Senza un quadro di chiarezza scientifica specifico della promozione, entro e tra le varie discipline, sarà difficile trovare le motivazioni adatte a maturare credibilità e consenso nella cultura più ampia e, conseguentemente, negli organi politico-amministrativi. La “nebulosa” della promozione della salute Intorno al concetto apparentemente chiaro di promozione della salute, si differenziano punti di vista, posizioni di principio diverse sia all’interno delle singole discipline come fra le discipline che concorrono nel comune obiettivo di promuovere salute. L’allargamento al sociale, anziché arricchire il cammino, rischia talvolta di imbrigliare l’argomentazione scientifica in vicoli di sapore ideologico. La discussione sugli stessi aspetti definitori ha raggiunto talvolta livelli di confusione che rivelano una mancanza di chiarezza sui fondamenti del concetto stesso di salute. Specificità teorico-metodologica delle varie componenti bio-psico-sociali che concorrono alla promozione della salute Nell’andare oltre il dominio tradizionale delle scienze medico-igienistiche, si è aperto un naturale ventaglio di interessi da parte delle scienze psicosociali e del mondo socio-politico. Questo allargamento, di per sé positivo, ha creato una sorta di mescolamento critico fra i piani della scienza e le istanze del sociale. Occorre inoltre ricordare che il concetto di promozione della salute è nato in un momento storico particolare caratterizzato da forti pulsioni di “de-medicalizazione”. Il processo di crescita della promozione della salute non lievita sulla base di un chiaro confronto di idee sul piano scientifico-culturale, ma rischia di essere contaminato da presupposti, non dichiarati, di natura ideologica. Così, l’entrata in scena – del tutto giustificata- della società, nel complesso articolato di cittadini, istituzioni e politici, può creare nei medici la sensazione di essere scavalcati rispetto ad un tema – la salute – da sempre considerato come di loro stretta pertinenza. Per chiarire questo aspetto mi riferisco ancora alla Kickbush, che negli anni 80, sotto l’influenza del pensiero di Foucault, affermava: “Se noi diciamo che la promozione della salute è un processo sociale e non un’impresa medica, ciò implica la demedicalizzazione della salute. Io dico esplicitamente demedicalizzazione della salute, perché questo è uno dei dilemmi di fondo nella promozione della salute che indirettamente espande il modello medico facendo della salute l’ultima malattia”. Mentre sono d’accordo che la medicina ha troppo accentuato il suo interesse sul versante malattia, non concordo con la prima parte di questa affermazione, (“la salute è un processo sociale e non un’impresa medica”) che, probabilmente, risente troppo degli anni dei movimenti contestativi. Non si può ovviamente riservare l’ambito della promozione della salute alle scienze psico-sociali e alla società civile, e riservare alla medicina l’ambito della terapia, sottraendole il diritto-dovere di assumere le sue specifiche responsabilità nel panorama della salutogenesi. Io credo che il compito di promuovere salute sia un impegno comune alle scienze mediche, alle scienze psicosociali,e alle componenti socio-politiche, a condizione tuttavia che sia rispettata la diversa specificità e responsabilità degli approcci che contraddistingue le varie componenti. Così, chi intende fare promozione a livello di strutture biologiche non può far riferimento a costrutti teorici e a strategie metodologiche uguali a quelle di chi opera a livello di dimensioni psicologiche o sociali o antropologiche ecc. Naturalmente ci possono essere momenti o aree di vicinanza; in linea di principio, tuttavia, la specificità delle discipline è la garanzia primaria di un loro necessario processo di integrazione. Sulla base di queste specificità aperte all’integrazione disciplinare, è possibile che si realizzi un altrettanto specifico rapporto di collaborazione con le istanze che si muovono nelle varie sedi del sociale e che trovano la loro espressione a livello della componente politico-amministrativa. Specificità (intrinseca) del metodo “promozione”, rispetto al metodo “terapia” e “prevenzione”. Più delicato e complesso il tema delle caratteristiche specifiche del modello salute. Dimostrare coerenza nel passaggio dalla teoria all’applicazione, utilizzando le caratteristiche fondamentali del metodo della promozione, è un problema critico per tutte le componenti, ognuna nel proprio specifico campo d’azione. In questo senso, tutte le iniziative applicative (sia sul piano psicologico, sia sul piano fisico, sia sul piano sociale) dovrebbero avere l’obiettivo, comune e preciso, non di rimuovere o prevenire il mal-essere, ma di promuovere il ben-essere (oppure:la qualità della vita). Di fronte a questo compito tutte le componenti sono più o meno impreparate. Non si può fare a meno di rilevare, come l’influenza medica abbia reso pervasivo l’orientamento al modello malattia anche fra le scienze psicosociali: ne è prova la stessa confusione che spesso si fa, in ambito sanitario, tra l’uso del termine promozione e quello del termine prevenzione. Talvolta, pur facendo prevenzione, si giustifica l’uso della parola promozione per il semplice fatto che prevenire le malattie significa promuovere la salute: questa affermazione, di senso comune, contiene una verità ed insieme un errore. Una verità perché prevenire può certamente lasciare spazio ad un progresso di salute (benessere); un errore, perché di per sé non lo garantisce, ma, soprattutto perché l’operazione di prevenzione caratterizza in un modo del tutto diverso da quello proprio di promozione. Nella prevenzione l’orientamento tende alla sicurezza, all’incolumità, alla responsabilità, al dovere, e l’inclinazione strategica si caratterizza per la cautela, la prudenza ad evitare problemi, con l’obiettivo di vigilare ed eliminare tutto ciò che può determinare una condizione di malessere: la componente emotivo-motivazionale di fondo è la paura. Al contrario, nelle operazioni di promozione l’orientamento è guidato dal desiderio di sviluppo, di realizzazione del proprio sé, e l’inclinazione strategica è l’adattamento ad affrontare le sfide con un orizzonte tracciato nella linea della qualità della vita: la componente emotivo-motivazionale di fondo è la speranza. Obiettivi del presente Dossier Entro questo vasto e impegnativo panorama, l’obiettivo del presente dossier è alquanto limitato. Senza alcuna pretesa di sistematicità, i contributi che seguono sono esempi di studi e di riflessioni riconducibili al tema della promozione della salute nel campo della psicologia. Alcuni di questi contributi sono più orientati a riflessioni di carattere teorico e altri più mirati ad offrire esempi di ricerca sul piano applicativo. Una lettura d’insieme di questi spunti potrà dare al lettore solo il senso di una direzione all’interno di un panorama molto più complesso e articolato. |
di Mario Bertini |