EDITORIALE L'ARCO DI GIANO n° 54 - 2007

           
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Arco di Giano



Le dichiarazioni anticipate di trattamento


N° 54 - inverno 2007


 

In uno dei migliori film di questa stagione, La famiglia Savage, di Tamara Jenkins, due fratelli – ambedue di buona volontà, ma dalla vita complicata – si trovano all’improvviso a dover fronteggiare un evento di per sé banale, ma sufficiente a sconvolgerli: il loro anziano genitore entra in uno stato di confusione mentale, peraltro blanda, e perde all’improvviso l’autosufficienza. È necessario trovargli una “sistemazione”. Dopo qualche affannosa indagine, individuano una casa di riposo, molto semplice, ma decente, e soprattutto vicina alla residenza di uno di loro. Nessun problema economico e nessun problema nemmeno per quel che concerne l’assistenza: il personale si mostra preparato a fronteggiare ogni evenienza e dà prova di sensibilità e senso di umanità. Anche la parte strettamente burocratica sembra tutta a posto; i documenti necessari sono corretti ed anche l’assicurazione non crea problemi… ma c’è un imprevisto. La “casa” chiede che tra le “carte” che bisogna mettere assieme per formalizzare definitivamente la presa in carico dell’anziano ce ne sia una particolarmente importante: il testamento biologico. Dato il vecchio genitore non è interdetto, dovrà essere lui stesso a firmarlo. Come convincerlo? I fratelli, sia pur imbarazzati, cercano di creare l’occasione adatta; portano il padre al ristorante e a fine pranzo aprono il discorso, in modo peraltro goffo, illudendosi che il genitore possa afferrare subito le loro allusioni. Ma il padre stenta a capire; oltre tutto gli era sembrato che la casa nella quale veniva accolto fosse nient’altro che un albergo…e non riesce a comprendere perché un albergo voglia interessarsi a questioni così intime, come quelle di cui gli stanno parlando i figli. Bisogna essere quindi più precisi e più espliciti; il discorso viene pesantemente messo a fuoco, sia pure con le frasi scaramantiche del caso (“è solo una formalità”, “per ora il problema non si pone, anzi non si porrà mai”). Per quanto non del tutto lucido, alla fine il vecchio capisce e del resto è messo nella condizione di non poter non capire: “vuoi essere incubato, se vai in coma?”. La prima sua reazione è di sdegno: ma si accorge subito che i figli non solo non condividono i suoi sentimenti, anzi cominciano ad irritarsi. La seconda e definitiva reazione è di acquiescenza: “se mi capita qualcosa, staccate la spina”. Il vecchio ha finalmente dato il suo assenso all’abbandono terapeutico. L’atmosfera immediatamente si rasserena: l’ultimo ostacolo è stato superato.

Nella trama del film, l’episodio che ho narrato non ha una posizione centrale (oltre tutto, nella vicenda del film, del testamento biologico non si parlerà più e il vecchio genitore morirà in modo, tutto sommato, “naturale”). Si tratta solo di una delle tante tessere, che compongono un ben triste mosaico. Ma si tratta, a suo modo, di una tessera rivelativa di come le pratiche del testamento biologico si siano negli USA definitivamente burocratizzate ed abbiano perso ogni consistenza etica. Nato come forma di reverente ossequio all’autonomia delle persone, il testamento biologico si è, lentamente ma ineluttabilmente, trasformato in uno degli snodi che accompagnano il processo del morire, in una cultura – come quella postmoderna – in cui anche la morte sembra ormai essersi definitivamente “artificializzata”. È un dato, questo, che nulla dice propriamente contro il testamento biologico, ma ci aiuta a collocarlo nella sua giusta dimensione. Ed è una dimensione di infinita tristezza, perché a fronte di quei pochi casi in cui il testamento biologico, inteso correttamente come un documento chiamato ad accogliere le dichiarazioni anticipate di trattamento, può davvero aiutare il medico a calibrare nel modo più accorto l’assistenza da riservare a un malato, dimostratosi a suo tempo lucido e preveggente, diviene evidente – per chi voglia riflettere sul problema con mente libera da pregiudizi illuministici – che nei casi più frequenti ed ordinari le dichiarazioni anticipate saranno redatte frettolosamente, seguendo schematismi astratti, compilando modulistiche astruse e saranno lette con altrettanta frettolosità, da medici che difficilmente riescono a trovare nel loro cuore uno spazio per salvaguardare i loro giovanili ideali ippocratici a fronte della fredda pressione delle situazioni contingenti e dei rischi medicolegali in via di costante incremento.

L’incerto statuto etico e giuridico dei testamenti biologici e il dibattito in materia, vivace ma tutto sommato inconcludente, che si è intensificato negli ultimi mesi in Italia, giustifica ampiamente questo fascicolo e i materiali che in esso sono raccolti. Il tema è affrontato in prospettiva chiaramente interdisciplinare e non pretende ovviamente di chiudere una discussione biopolitica che è stata bruscamente interrotta dalla chiusura della legislatura e che certamente riprenderà con vigore nella legislatura che si aprirà nel 2008. C’è solo da auspicare che, particolarmente su questo tema, ci si continui a documentare, a ragionare e a pensare, perché esso appartiene al ristrettissimo novero di quelle questioni bioetiche che mettono in questione la stessa identità della medicina di oggi.

Francesco D'Agostino

 

 

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